Vorrei tornarci con Rosario Crocetta, in via D’Amelio, in una sera di luglio, come due che non sono amici, eppure hanno curiosità di conoscersi. Vorrei passeggiare con lui, guardare il citofono che raccolse l’ultima occhiata di Paolo Borsellino. Potremmo sederci, accanto all’alberello con gli ex voto e i bigliettini dedicati al giudice. A bruciapelo gli chiederei: “Saro, perché hai ucciso la nostra speranza? Perché hai posto una lapide con la scritta: ‘Qui giace l’antimafia seria’? Perché hai sostituito la rivoluzione con un corteo di figuranti?”. E non sarebbero domande cattive. Appena gli interrogativi di uno che vuole capire come siamo arrivati a questo punto. L’antimafia a misura di Crocetta: ecco il terzo bluff del grande libro che stiamo scrivendo su questo presidente impresentabile. Forse il più doloroso.
“Saro – continuerei – siamo tutti prigionieri, incatenati alla lapide. Hai disseminato denunce su denunce per farci dimenticare la tua inadeguatezza di presidente. E non ci sei riuscito. Hai piazzato Lucia Borsellino alla Sanità per nascondere la tua nudità di governatore con la coperta di un nome venerato. Quando lei ha sbattuto la porta, lanciando pesantissimi addebiti morali dopo la deflagrazione dello ‘scandalo Tutino’, hai risposto con una alzata di spalle. Anzi, hai fatto di più: ti sei nominato assessore ad interim, infilando le mani tra le carte di quella stessa Sanità travolta dalle vicende penali del tuo medico personale. Un doppio sgarro: a Lucia, con tutto ciò che rappresenta, e alla decenza. Avesse osato tanto il ‘mafioso’ Cuffaro, le piazze sarebbero piene di manifestanti travestiti da cannoli. Perfino il cerchietto magico che ti circonda e ti coccola, ricevendo in cambio prebende e posti al sole, ha scelto l’omertà, salutando l’addio della figlia del martire con un infastidito silenzio. Tanto non serviva più. Ma che bella antimafia! Che ne pensi, Saro, come e perché siamo arrivati a questo punto?”.
Tu, probabilmente, non risponderesti. Non avresti nemmeno accettato l’invito. Come potresti mai giustificare il bluff dei bluff? Ti sei munito di un’antimafietta tascabile, un fazzoletto per il naso, ogni volta che ti prude: la tua appendice di potere che azzanna gli oppositori, una parata di cognomi a protezione del nulla, fino a quando restano utili, una trincea per Palazzo d’Orleans, un’arma. Invece, dovrebbe essere tutto il contrario. Tutto l’opposto.
E sei il campione della commedia dell’arte antimafiosa: di suggestioni e personaggi che sempre tu – da pasticcione e talentuoso Mangiafoco – convochi a vanvera sul palcoscenico. I sette presidenti della Regione arrestati che menzioni, intervistato dal ‘Fatto’. Giusto su quello morto ammazzato ci hai preso, però era facile. Gli “ottocentoventicinque mafiosi” che hai cacciato. Già ti vediamo protagonista di un western con la stella di latta dello sceriffo, la colt, mentre cavalchi, sparando a raffica, poiché sparare a raffica è la tua specialità. Un teatrino dei burattini, delle cavalcate, delle sparate che governi – almeno quello – con sapienza: questo è la tua rivoluzione. Solo che ti confondi sempre più spesso, scambi i copioni, non ricordi più le battute, i trucchi della sceneggiatura sono agli sgoccioli. Chi ti conosce, chi ti ha provato, sa che la tua antimafietta è come la stella dello sceriffo: di latta.
E noi tutti siamo prigionieri, incatenati alla lapide. E attraversiamo via D’Amelio, in una sera di luglio, con una spina conficcata nel cuore. Qui giace l’amore fatto a pezzi dei padri e dei figli. Qui giace l’antimafia che fu.