PALERMO – Paolo Ruggirello, ex deputato Pd all’Ars, arrestato oggi per mafia, secondo l’accusa, strumentalizzando il proprio ruolo istituzionale, avrebbe “contribuito al raggiungimento di uno degli scopi dell’associazione mafiosa: il controllo del voto democratico e l’influenza sulla gestione della cosa pubblica”. Lo scrive il gip di Palermo nel provvedimento che dispone l‘arresto di Ruggirello e altri 24 tra boss e gregari trapanesi. Per il giudice, l’ex deputato, “destinatario delle preferenze elettorali fatte confluire da esponenti di detta associazione nel corso di varie consultazioni elettorali, fornendo un concreto e specifico contributo per garantire gli interessi del sodalizio mafioso, a cui metteva a disposizione – per il tramite di singoli affiliati, con i quali intratteneva rapporti continuativi ed ai quali si rivolgeva anche per questioni personali – l’influenza e il potere derivanti anche dalla sua posizione di deputato regionale dell’Assemblea Regionale Siciliana”.
Per gli inquirenti Ruggirello, che avrebbe incontrato più volte mafiosi, avrebbe avuto il sostegno dei boss di Trapani, nelle più recenti competizioni elettorali, ossia quelle per il rinnovo della Assemblea regionale siciliana del 2017 e quella per la Camera e il Senato del 2018. L’ex parlamentare avrebbe tutelato gli interessi della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, anche facendo avere finanziamenti pubblici, avrebbe fatto assumere all’ospedale di Trapani la figlia di un mafioso di Campobello di Mazara, promesso posti di lavoro, fatto avere appalti a imprese mafiose. Per gli inquirenti provate le sue richieste di aiuto elettorale a mafiosi del calibro di Salvatore Crimi e dei Virga di Trapani a cui avrebbe dato denaro per il sostegno elettorale.
“Mi sto giocando tutte le carte per questi politici, vedi che mi devi dare una mano ah! Una mano buona!…… Dobbiamo raccogliere voti… tu… lo sai che se le cose vanno bene a me… vanno bene a tutti, mi pare che è stato sempre così qua…”. Così il boss trapanese Pietro Virga spiegava agli amici perché era fondamentale garantire l’appoggio elettorale ai suoi candidati. “Deve salire a dritta il marito è uno che ha amicizie forti là a Roma. E se noi arriviamo a questa a portarla là, qualche cosa possiamo concludere è giusto?”, diceva Virga riferendosi a un’altra candidata, Ivana Inferrera, dell’Udc anche lei arrestata. “A tutti questi già quando gli da 50 euro, 20 euro per fare la spesa…”, spiegava.
Le elezioni finite sotto inchiesta sono le Comunali di Trapani ed Erice del 2016 dove la mafia avrebbe sostenuto Vito Mammina e la figlia Simona, e le regionali e politiche. Alle regionali Cosa nostra trapanese si sarebbe spesa, in cambio di soldi, per la Inferrera e per Ruggirello, candidato nella lista del PD per Micari, mentre per le politiche il solo candidato era Ruggirello. “La particolarità che emerge, contrariamente a fatti simili già processualmente accertati, – scrive il gip – è data dal fatto che sono proprio i rappresentanti locali della politica che si offrono ai mafiosi, proponendosi come loro punti di riferimento, arrivando, in alcuni casi, addirittura ad affidare loro la gestione, seppur parziale, della propria campagna elettorale”.
E tra le pieghe dell’inchiesta emerge una certezza: c’è ancora la famiglia Virga al comando di Cosa nostra a Trapani. I capi sarebbero Pietro e Francesco, fratelli, figli dello storico boss ergastolano Vincenzo. Ai vertici del clan ci sarebbe anche Francesco Orlando, ex consigliere comunale del Psi, “uomo d’onore riservato” ed ex segretario particolare del deputato regionale Bartolo Pellegrino. Entrambi i Virga sono già stati condannati per mafia. “L’obiettivo della organizzazione mafiosa, in base agli esiti delle investigazioni, rimane quello di acquisire il controllo di attività economiche, soprattutto nel campo dell’edilizia e della gestione dei rifiuti, e di raccogliere consensi elettorali in occasione delle varie consultazioni”, sostengono i magistrati della Dda che hanno coordinato le indagini.
(ANSA)