CATANIA – La casa di Rosario Lombardo era il covo di ritrovo di Cosa nostra catanese. Ad un certo punto Davide Seminara nel 2014 diventa collaboratore di giustizia e riferisce alla magistratura che “U Rossu”, nonostante i domiciliari, continuava ad essere parte attiva all’interno della famiglia Santapaola-Ercolano. E non un ruolo qualsiasi, ma uno di primo piano. E’ con il profilo accusatorio di Rosario Lombardo che si apre la lunga requisitoria del pm Rocco Liguori dello stralcio abbreviato del processo Carthago 2, scaturito dalla maxi inchiesta che lo scorso anno ha portato in manette 23 persone ed ha disarticolato la cupola dello spaccio di San Giovanni Galermo e il braccio operativo delle estorsioni ai cantieri edili nell’hinterland etneo. All’aula bunker di Bicocca davanti al Gup Giancarlo Cascino si è svolta la prima parte della discussione dell’accusa. Nella prossima udienza, fissata per il 2 febbraio, la pm Lina Trovato chiuderà la requisitoria.
Rosario Lombardo ha due condanne definitive per mafia. Una a 20 anni per il processo Stella Polare e una per il procedimento penale battezzato dalle forze dell’ordine Ghost. Ma per motivi di salute sia la Corte d’Appello che il Tribunale di Sorveglianza hanno ordinato la detenzione domiciliare e non quella penitenziaria. “La storia di Lombardo ha dell’assurdo”, afferma il pm Liguori nel corso della requisitoria. Perché l’imputato quando torna a casa in viale Biagio Pecorino “non solo riprende a delinquere, ma dai domiciliari regge Cosa nostra catanese”. E non finisce qui. Il sostituto procuratore della Dda evidenzia che i collaboratori di giustizia raccontano che Rosario Lombardo oltre ad organizzare “summit nella sua abitazione, utilizzava le autorizzazioni mediche e sanitarie per incontrare altri mafiosi”. Assurdo, dicevamo. Il pm Liguori è molto duro nei confronti dell’imputato: “Se ne stava fregando altamente delle due condanne ed ha ripreso a fare quello che aveva fatto negli anni precedenti”. La casa di Saro U Rossu era “il centro nevralgico degli affari di Cosa nostra catanese”.
Davanti al palazzo di Biagio Pecorino dove abita l’imputato i carabinieri piazzano le telecamere. Una sorta di grande fratello. Il risultato è stato tre pagine (nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere) di nomi di pregiudicati che sono andati alla corte di Rosario Lombardo. Soldati dei Nizza, picciotti dei Santapaola, boss dei clan rivali come Massimiliano Salvo dei Cappello. Ma oltre ai filmati (“inequivocabili”) ci sono anche le intercettazioni e gli sms che fanno ben capire il ruolo di vertice di Rosario Lombardo soprattutto nella gestione delle piazze di spaccio.
Rosario Lombardo: nome in codice “gabibbo”. E’ questo il nome con cui era indicato dai sodali nei vari sms. Saro U Rossu condivideva la reggenza con altri due imputati del processo: Francesco Santapaola, figlio di Salvatore “coluccio” e cugino di secondo grado del capomafia ergastolano Benedetto, e Angelo Marcello Magrì, fratello del boss Orazio e figura storica di Cosa nostra catanese.
I carabinieri riescono a decodificare il linguaggio criptico dei vari sms inviati tra i sodali con utenze citofono intestate a stranieri. Una rete chiusa in cui si comunicava solo attraverso messaggi di testo in cui si parlava di comando, della cassa comune, dell’elargizione degli stipendi, della gestione della piazza di spaccio. Il pentito Salvatore Bonanno, ex esattore del pizzo, racconta che “Ciccio Santapaola era manovrato da Lombardo”. Insomma aveva un forte ascendente sul capo. Poi il figlio di “Coluccio” è arrestato nel blitz Kronos e al suo posto viene nominato Angelo Marcello Magrì, che negli sms è indicato come “Lupen”. Il collaboratore di giustizia Salvatore Cristaudo descrive il summit a casa di Saro Lombardo “quando è stata decisa la reggenza del fratello di Orazio Magrì”. Il pentito Angelo Bombace spiega le tappe “dell’ascesa al potere di Marcello Magrì”. Un potere però che a novembre 2016 si sgretola, perché finisce in manette. Sms, i verbali di 7 collaboratori e intercettazioni.
Un apparato probatorio “granitico” – secondo l’accusa – quello raccolto nei confronti dei due padrini: Lombardo e Magrì. Per i due imputati chiave il pm Liguori ha chiesto al Gup la condanna a 20 anni di carcere. Sono 12 anni invece gli anni chiesti per Carlo Burrello, il genero di Marcello Magrì, e per Giuseppe Bellia. 14 anni quelli chiesti per Pietro Arezzi, Salvatore Spampinato e Francesco Pinto. Per gli imputati Biagio Sapuppo e Massimo Amantea il pm ha chiesto la condanna a 14 anni di reclusione e 36 mila euro di multa. Una pena di 5 anni di carcere e di 8 mila euro di multa è la richiesta formulata nei confronti di Domenico Contarini. Tre anni di carcere infine è la pena chiesta dal pm per il collaboratore di giustizia Salvatore Bonanno.