Il dolore in questa mia città - Live Sicilia

Il dolore in questa mia città

Ordine e disciplina: solo belle parole in questa mia città senza regole in cui sono abusivi persino i buttafuori delle discoteche.

Eccolo di nuovo, il maledetto mal di schiena, mio compagno di vita silenzioso e discreto. Spesso si fa presente con moderazione raccomandandomi cautela nel piegarmi e nel sollevare pesi e invitandomi alla sana frugalità a tavola. E circa ogni due anni, quando abuso della sua pazienza, decide che ne ha abbastanza e irrompe nella mia esistenza per imporre la sua legge. Così di colpo tutti i miei impegni, persino i più importanti, devono cedere il passo e farsi da parte davanti a lui. Lui che mi obbliga a contorsionismi da acrobata quando devo alzarmi dal letto per fare pipì. Lui che è capace di farmi levare, in qualche modo, nel cuore della notte per auto-infliggere alle mie chiappe il penetrante insulto dell’ago. Lui che, in compenso, mi regala dopo giornate lavorative faticose, qualche giorno di riposo a letto tra pillole, cuscinetti termici e il lettore di libri elettronici che, da quando m’è stato donato, ha rinverdito in me il piacere della lettura. Mi bevo il libro di Beha su Gino Bartali, un campione dello sport capace di rischiare la vita per contribuire al salvataggio di circa 800 ebrei durante l’occupazione nazista. Mi consola il pensare che persino in tempi durissimi resistessero uomini come Lui, insignito del riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme. Un lampo di umanità nel buio della guerra, dello squallore e della miseria di quegli anni drammatici. Mentre spengo il mio Kindle, il mal di schiena sembra svanire.

Accendo il PC portatile posto sul vassoio da letto che da sempre in casa mia, più che alla colazione, è associato a malanni, termometri e medicine. Un’occhiata alla posta elettronica, che il mal di schiena e il riposo forzato prima o poi finiranno. Una visita ai miei siti preferiti, questo tra i primi. Ci sono le notizie locali. Un ragazzo che voleva solo festeggiare con gli amici è stato ammazzato a calci in testa da chi ha poi dichiarato di essere lì per assicurare ordine e disciplina. Già, ordine e disciplina: solo belle parole in questa mia città senza regole in cui sono abusivi persino i buttafuori delle discoteche. Io me lo ricordo bene il povero Aldo; l’avevo incontrato per l’ultima volta nel giorno dell’abilitazione alla professione di Medico. Io commissario, lui candidato. Adesso Aldo non c’è più, ucciso a quanto pare per un cappello da Carnevale in questa mia città del sopruso dove il futuro è precluso persino a chi si sacrifica per anni per costruirlo. Guardo il video della sfilata: riconosco molti di quei volti. Ci sono anche i miei figli sotto la pioggia con gli ombrelli e le candele in mano. Ma questa sera gli studenti che dal Massimo camminano in silenzio fino al Policlinico sono tutti fratelli. Sono tutti miei figli. Vorrei sperare, ma di fiaccolate e di catene umane ne ho viste ormai troppe in questa mia città delle morti violente. Sullo schermo appannato dalle lacrime, mi sembra di rivedere Aldo che mi stringe la mano salutandomi al termine dell’esame. Voleva fare il Cardiologo, il dottor Aldo Naro. Chissà se i suoi cari riusciranno a trovare qualcuno capace di curare i loro cuori straziati.

Il cursore scorre sulla home-page. In Via La Farina e in Via Marchese di Villabianca, due negozi sono stati assaltati a sprangate; per bottino glorioso qualche paio di scarpe e una decina di giubbotti. Ma di quelli firmati, s’intende. In Via Dante, l’ennesimo accattone sputa in faccia a un uomo che gli ha appena negato una monetina. Pochi metri più in là, dalle parti di Piazza Virgilio, una brillante operazione di polizia porta alla scoperta di un bordello di certo meno indecente di quelli a cielo aperto in esercizio tutte le sere in Centro. Cinque ragazze tra i diciannove e i trenta anni dichiarano di prostituirsi perché “non trovavano lavoro”. E c’è pure chi sostiene che vendere uno dei propri orifizi oppure le braccia per pulire una rampa di scale o il culo a una vecchia allettata in fondo è la stessa cosa. Dall’Oncologia del Policlinico sono stati rubati otto televisori piazzati lì a sottrarre, tra una ricetta di cucina e un quiz, un pizzico d’angoscia dai pensieri di tanti malati di cancro. Basta così. Per oggi ne ho abbastanza. Spengo il PC. Chiudo gli occhi e ripenso a ciò che ho letto. A ciò che accade in un giorno qualunque a pochi passi da qui. Mi domando fino a qual punto potrà giungere il degrado morale e materiale di questa mia città alla deriva. Mi domando quando arriverà il momento in cui qualcuno s’alzerà indignato in piedi gridando: “Adesso basta”. Un dolore profondo, acuto e lancinante; di quelli che nessuna fiala riesce a lenire. No, questa volta non è la schiena che fa male, questo è dolore dell’anima. Il dolore della mia anima sanguinante di palermitano onesto e dalla schiena dritta e malandata.

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