Il 'fine vita' e la fede | Una questione aperta - Live Sicilia

Il ‘fine vita’ e la fede | Una questione aperta

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    Eutanasia=ribaltamento della Parola di Dio, imbellettato da tesi pseudo teologiche e pseudo misericordiose. Una tesi portata avanti dalla lobby omosessualista-pedofila presente in Vaticano e non solo.

    Chi sostiene queste tesi e si professa “Cattolico” rappresenta solo l’anti-chiesa, quella di Satana, quella della perversione del messaggio di Cristo venduta come misericordia.

    L’ Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana di Papa Giovanni Paolo II, del 25 marzo 1995, al n. 66: “Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell’esistenza di chi soffre, l’eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la vera “compassione”, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. […]

    La tematica del fine vita a mio parere, è affrontata senza il conivolgimento del medico che a mio parere possiede i requisiti professionali per dare un apporto qualificato per affrontare il problema: l’anestesista-rianimatore.
    È un medico che affronta efficacemente le problematiche del paziente critico e che a mio parere può contribuire alla adozione di protocolli terapeutici palliativi compatibili con il rispetto della dignità della persona e dei valori cristiani.
    È un percorso difficile e che richiede un confronto approfondito e collegiale ma fattibile ponendo al centro L’uomo nella Sua essenza di componente preziosa della vita in tutte le modalità esistenziali.
    È una ricerca le cui conseguenze, se condotta con modalità asettiche e superficiali, crea i presupposti per una società fredda, calcolatrice, senza cuore, che sfugge al confronto con la sofferenza del proprio fratello privilegiando la comoda scorciatoia di eliminare alla radice il problema con il sollievo di tutti: paziente e di chi lo dovrebbe accompagnare lungo il cammino esistenziale della sofferenza e della malattia.

    La Fede. Sì, aiuta molto. Se consideriamo che, tutto sommato, la nostra è una breve avventura in attesa dell’eternità, non c’è dubbio: aiuta. Tuttavia, quando il dolore fisico o la patologia diventa insopportabile, inguaribile o irreversibile, spesso non è più sufficiente. Fin quando la salute è buona o discreta, possiamo contrastare qualunque cosa. Ma quando manca del tutto, quando sei inchiodato sulla croce di una sofferenza senza limiti, allora è comprensibile il crollo.
    Quando un uomo decide di morire, evidentemente esistono motivi così validi da non meritare giudizi superficiali e del tutto inopportuni.
    A nessuno piace morire! e provo disgusto quando leggo commenti spietati e cattivi, provenienti da chi si professa adoratore di un Dio misericordioso. Se così fosse in realtà, dovrebbero prevalere misericordia e pietà, non frasi fatte e luoghi comuni: la vita è un dono di Dio, bisogna accettare le sofferenze e ubbidire alla Sua volontà, bisogna avere Fede e così via. Sono credente e, quindi, so bene che la vita è un dono di Dio. Ma so pure che è capace di infliggere sofferenze talmente acute e, soprattutto refrattarie a ogni speranza, che un povero essere alla fine può crollare e dire basta.
    Ritornando alla fede, spesso Dio non risponde, sembra sparito, sembra del tutto disinteressato e insensibile al dolore delle sue creature. In realtà non è così, non le abbandona mai, ma il dolore resta. Subito pronta la replica del religioso: non hai abbastanza Fede, quindi non otterrai nulla. In teoria ha ragione. Ma ripeto che teoria e realtà sono antitetiche. Nonostante gli sforzi e le preghiere, il dolore è sempre lì. Tra l’altro, esistono patologie che sembrano anche volere ridicolizzare l’ammalato, non solo il dolore, anche l’umiliazione.
    In ogni caso, per quanto mi riguarda, non ho e non ho mai avuto dubbi: se dovessi essere colpito da una malattia invalidante ed irreversibile, tale da trasformarmi in un vegetale e costituire un peso a chi pure so che mi assisterebbe con immenso amore, pretenderei la dignità di morire. È un diritto! Così come c’è un diritto alla scelta di vita ci dovrebbe essere quello della scelta di non vita.

    Io non mi sento di giudicare chi sta male, se io fossi al posto di una persona soggetta ad una condizione fisica irreversibile, non so se sceglierei di continuare a vivere o di porre fine alla mia vita. La scelta dell’eutanasia non va condannata, ma neanche quella di continuare a vivere. La paura dei vescovi che si possa ricorrere al suicidio assistito per ogni motivo, penso sia più che giustificabile, quindi penso sia giusto un’apertura che possa dare la posssibilità al malato di scegliere, ma dall’altro lato bisogna che la si applichi a determinate condizioni, per evitare il pericolo che spaventa i vescovi.

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