Il lungo inverno dei renziani| tra scandali e batoste al gazebo - Live Sicilia

Il lungo inverno dei renziani| tra scandali e batoste al gazebo

I casi di Nicotra e Ruggirello. La netta sconfitta alle primarie. L'incognita Zingaretti. Sono tempi duri.

Antonello Cracolici non ha perso tempo. E su Facebook ha digitato un paio di righe al vetriolo: “Sono garantista, ma mi sarei aspettato che qualcuno tra i tanti generali senza esercito che si ritiene dirigente del Pd avesse prudentemente sospeso Ruggirello dal partito”. Poco dopo, il suo ex delfino, oggi alleato dei renziani, Antonio Rubino, gli ha risposto da vicesegretario del Pd siciliano: Paolo Ruggirello non è più iscritto al Pd da due anni e quindi non c’è bisogno di sospendere nessuno. Ora al di là della sorpresa nell’apprendere che l’anno scorso il Pd ha candidato al Senato un signore che non era manco più iscritto al partito, resta il battibecco che fotografa il momento di difficoltà che vive il renzismo siculo, quasi onnipotente solo un paio d’anni fa, oggi travolto no solo dagli scandali ma anche dal voto al gazebo di domenica.

Certo, sembra davvero passata un’era geologica da quando Matteo Renzi regnava a Palazzo Chigi e teneva il partito in mano. All’epoca, i suoi in Sicilia capitanati da Davide Faraone facevano e disfacevano, detenevano posti di peso nelle giunte di Rosario Crocetta, governando e criticando il governo allo stesso tempo, decidevano tra Roma e Palermo chi mettere in lista e come. La fila per salire sul carro renziano era lunga e l’anticamera affollata. Le porte del partito si schiusero per cinque deputati, transitati da Articolo 4, la creatura di Lino Leanza. Due di loro sono finiti in seri guai giudiziari uno dopo l’altro. Alla fine dell’anno scorso è toccato a Raffaele Nicotra, oggi a Paolo Ruggirello. Il primo è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in mafia e voto di scambio. Il secondo è finito agli arresti con l’accusa di associazione mafiosa e voto di scambio. Al di là della battuta molto sopra le righe di Giancarlo Cancelleri che si beccherà una querela, nella prudente attesa di conoscere gli sviluppi di queste due vicende giudiziarie, si può dire intanto che lo scouting renziano all’epoca fu per lo meno sfortunato.

Da quei tempi di robusto potere un po’ tutto è cambiato. Renzi si è dovuto fare da parte dopo la scoppola del referendum. Il Pd ha perso il governo della Regione prima e del Paese poi. Non solo. Domenica, un redivivo popolo dem ha affollato i gazebo per eleggere il nuovo segretario. Ha stravinto Nicola Zingaretti, che si presentava proprio in aperta rottura verso i trascorsi renziani del partito. Ha stravinto Zingaretti, anche in Sicilia. Nell’Isola il governatore del Lazio ha totalizzato il 62 per cento, travolgendo Martina a Palermo, cioè nella città di Faraone, con percentuali bulgare. Il candidato del gruppo dell’ex premier è andato male dappertutto fuorché a Messina e Catania, dove ancora una roccaforte renziana resiste, tra l’ateneo dello Stretto e i voti di Luca Sammartino. Per il resto è buio pesto. A Enna, in casa di Mirello Crisafulli, Martina addirittura ha preso la miseria di 265 voti, praticamente poco più del 5 per cento. E un pezzo pregiato della campagna d’allargamento dei faraoniani come Leoluca Orlando ieri ha tenuto a far sapere di aver votato scheda bianca alle primarie, ribadendo ancora una volta che lui gioca una partita a parte, ben lontano dalla corrente.

E così, quella poltrona di segretario regionale, conquistata da Faraone senza passare dal voto dopo il ritiro di Teresa Piccione, ora inevitabilmente traballa. Cracolici e Crisafulli gli hanno chiesto di togliere il disturbo subito dopo avere appreso i risultati delle primarie. Dalle parti di Areadem si resta più cauti ma è noto che il gruppo di Franceschini disconosce l’esito del congresso regionale, su cui pendono dei ricorsi. Su questi il nuovo Nazareno targato Zingaretti dovrà pronunciarsi. E la prospettiva di un intervento forte da Roma è tutt’altro che da escludere. Quella del dicembre scorso, insomma, potrebbe diventare una vittoria di Pirro per Faraone e compagni, i “tanti generali senza esercito” evocati oggi da Cracolici. Ma la partita è ovviamente tutta da giocare e per Zingaretti la vera sfida sarà quella di rilanciare un partito unito piuttosto  che aprire una resa dei conti che finisca di dilaniarlo. Le prossime settimane serviranno a capirne di più. Ma l’inverno dei renziani rischia di allungarsi.

 


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