Il lutto e il dolore di chi resta: come affrontarlo?

Il lutto e il dolore di chi resta: come si riesce ad affrontarlo?

Una settimana che ci ha ricordato l'esperienza del "distacco"
IL PARERE DELLA PSICOLOGA
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6 min di lettura

CATANIA – La perdita di una persona cara. È la profonda sofferenza ed il grande dolore per l’interruzione della storia dei “comuni vissuti”, è uno degli eventi più drammatici. Certamente più laceranti a cui ogni individuo va incontro nel corso della propria vita. Nessuno è infatti escluso da questa esperienza, in quanto tutti hanno già provato o proveranno in futuro lo struggimento legato ad un evento luttuoso.

Due facce della stessa medaglia

D’altronde Vita e Morte sono due facce di una stessa medaglia. La perdita di un proprio caro causa in chi resta un fortissimo senso di spaesamento ed una grave crisi sul piano dell’identità personale. Va tutto ricostruito tenendo conto di ciò che non vi è più. Oltre a generare intensi sentimenti di mancanza, profonda tristezza ed angoscia, e grande travaglio interiore. Diretta conseguenza del duro lavoro emotivo necessario per far fronte all’accaduto.

Il termine lutto deriva dal latino “lugere”, che significa piangere. Ed è proprio il pianto la rappresentazione per eccellenza del dolore che la perdita provoca. Oltre ad essere anche una modalità fondamentale per poterlo esternare ed in parte, cosí, elaborare.

Prendere consapevolezza

Un primo passo verso l’elaborazione dell’esperienza luttuosa riguarda infatti proprio l’“espressione della propria sofferenza”. Ovvero, il poter “dar voce” a ciò che si sta provando, il poter “dare libero sfogo” al proprio sentire. Affinché “lasciarsi attraversare dal dolore”, nonostante lo struggimento che si prova, per poterne solo cosí prenderne concretamente consapevolezza.

La maggior parte dei processi di superamento della perdita si bloccano invece proprio in questa fase. Facendo sí che il dolore rimanga “incistato dentro” e non venga correttamente espresso, causando l’immobilizzazione del soggetto in uno stato di grande disperazione e di angoscia perenne.

Come sosteneva anche W. Shakespeare: “Il dolore coperto è come un forno chiuso che brucia e riduce in cenere il cuore che imprigiona”, per questo è fondamentale potergli dar voce affinchè possa avviarsi, a partire da ciò, il “processo di riconoscimento dell’evento morte”, primo passo verso l’elaborazione della perdita del proprio caro.

Il distacco

Oltre all’espressione del dolore, un sano processo di adattamento alla separazione da chi non c’è piú necessita anche della messa in atto di tutti quei “rituali simbolici”. Gesti necessari alla “formalizzazione del distacco”, che sono il necrologio, le condoglianze, le visite di parenti ed amici, la veglia della salma, il rito funebre, la sepoltura..

Essi hanno la funzione di permettere una “condivisione sociale” del dolore, passo fondamentale per evitare l’isolamento e la solitudine della sofferenza, oltre ad agevolare un seppur doloroso “esame di realtà”, “suggellando il distacco” e consentendo cosí il “commiato definitivo” dal proprio caro.

Quando ció non avviene purtroppo la situazione si complica ulteriormente. Basti pensare al lutto relativo a “persone scomparse” di cui non si sono piú avute notizie, nè sono stati ritrovati i corpi su cui poter piangere e a cui poter dare sepoltura, o alle non lontane drammatiche esperienze delle “morti per Covid avvenute negli ospedali”,dove i parenti non hanno piú avuto la possibilità di vedere il corpo dei propri cari, di toccarlo, baciarlo, vestirlo.. salutarlo per l’ultima volta.

Questi si rivelano purtroppo dei lutti particolarmente complicati e di ancor più difficile elaborazione, perché si attivano in chi resta dei meccanismi di difesa basati sulla “negazione”: “fino a quando non lo vedo posso pensare che non sia accaduto”, che alimentano in modo disfunzionale sentimenti di speranza, purtroppo quasi sempre vana.

Cosí come maggiormente drammatici ed ancora piú difficili da affrontare sono i lutti “inattesi, improvvisi o violenti” (basti pensare agli incidenti, agli omicidi, ai suicidi….), che rappresentano degli eventi traumatici che si abbattono sui cari della vittima, generando una sofferenza ancora piú intensa; anche “le modalità” con le quali la morte avviene rappresentano dunque una variabile particolarmente significativa che incide sul processo di elaborazione del lutto e soprattutto sui suoi esiti.

Il tempo

Ma l’aspetto che sembra collegare tutto quanto sinora detto è il bisogno di un “tempo adeguato” per poter affrontare ed accettare l’assenza dolorosa, che è personale e potrebbe variare da soggetto a soggetto, cosí come da situazione a situazione, per tutte le motivazioni prima esposte.

Queste oscillazioni devono però avvenire all’interno di un intervallo di tempo (scientificamente condiviso) che va dai 9 ai 18 mesi. Se i tempi della sofferenza  provocati dalla perdita dovessero prolungarsi oltre, connotando l’esperienza del lutto come evento irreparabile ed irrisolvibile e generando, pertanto, un forte malessere psicologico che sembra non potersi risolvere, si parlerà allora di “lutto patologico”. A quel punto sarà necessario l’intervento di figure specializzate che possano esercitare una funzione di sostegno emotivo e contenimento delle emozioni eccessivamente dolorose. Assime ad un lavoro di adeguato fronteggiamento dell’accaduto in vista di una sua risoluzione positiva.

Come fare per chi resta?

Quindi, affinché il lutto (al di lá dei tempi di elaborazione personali e soggettivi), possa avere un esito positivo è necessario che si verifichino le seguenti condizioni:

• A livello mentale, chi resta, deve innanzitutto “accettare la realtà della perdita subita”, superando la tendenza a negare, soprattutto dal punto di vista emotivo, l’evento di morte; questo rappresenta il primo passo, anche se molto difficile e doloroso, di presa di coscienza sincera e profonda della scomparsa della persona cara.

• Ma è anche importante “lasciarsi attraversare dal dolore, esprimere la propria tristezza, parlare della propria sofferenza e condividere con altri le proprie emozioni e pensieri” (anche se questo risulta sempre più difficile in una società in cui la sofferenza viene costantemente negata, ed il lutto ridotto ad un evento strettamente personale). Solo l’espressione e la condivisione del dolore consentiranno la possibilità di superare un ulteriore step nel processo di elaborazione della perdita.

• Infine, ed è questa la cosa probabilmente piú difficile da fare e che riguarda le fasi più inoltrate di elaborazione del lutto, è fondamentale “riprendere lentamente e gradualmente il corso della propria esistenza”. A partire dalla quotidianità, mettendo in conto anche la possibilità di una progettualità futura, di nuove relazioni e nuove esperienze da vivere, pur mantenendo sempre vivo il ricordo della persona che non c’è più.

Per concludere, “sebbene il lutto comporti gravi deviazioni dell’atteggiamento normale verso la vita, esso non è uno stato patologico che richiede un intervento medico” (S. Freud); si potrebbe piuttosto definire “una ferita che si rimargina da sola”, nel rispetto di tempi e modalitá soggettive.

Ciò che devono essere invece seriamente attenzionati sono sia il verificarsi di una condizione di sofferenza protratta nel tempo, che un atteggiamento di evitamento totale del dolore. Se “stallo” e “negazione” dovessero protrarsi piú del previsto, per rimettere in moto o avviare il processo di elaborazione del lutto, sará necessario che il soggetto venga affiancato da qualcuno di professionalmente competente che sia in grado di affrontare assieme a lui i problemi della perdita ed il suo superamento.

[Pamela Cantarella è una Psicologa Clinica iscritta all’Ordine Regione Sicilia (n.11259-A), in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale]


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