Il Maestro che divenne | sinonimo di Sicilia - Live Sicilia

Il Maestro che divenne | sinonimo di Sicilia

Non amava l'idea di "sicilitudine". Ma Camilleri colse l'essenza di un popolo già nella lingua.

L'addio a Camilleri
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Diceva di sé di essere “uno scrittore italiano nato in Sicilia”. E non gli piaceva troppo l’etichetta di “scrittore siciliano”. Eppure, scorrendo i fiumi di inchiostro che hanno accompagnato la sua dipartita, l’aggettivo più ricorrente per qualificare Andrea Camilleri è proprio quello: siciliano. Perché malgrado quel concetto di “sicilitudine” non lo convincesse, proprio come Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri è diventato negli anni, in questo ventennio abbondante in cui il suo genio creativo ha conquistato milioni di lettori, una specie di sinonimo di Sicilia.

Ricorda Paolo Di Stefano sul Corriere che la “sicilitudine” “pareva a Camilleri nient’altro che «il lamento che il siciliano fa di sé», un vittimismo non privo di autocompiacimento: e Camilleri non era tipo da lamenti, troppo autoironico”. Eppure, nessuno come lui, niente come la sua immaginaria Vigata, ha incarnato l’essenza stessa della Sicilia agli occhi del mondo in questo primo secolo del nuovo millennio. Una Sicilia per certi versi fuori dal tempo, quasi trasfigurata, quella resa con grande suggestione immaginifica nella felicissima trasposizione televisiva dei suoi romanzi del Commissario Montalbano. Quella che i lettori sentivano, gustavano, masticavano leggendo i suoi libri ed entrando nella sua più bella e riuscita invenzione da scrittore, la sua lingua. Un pastiche felicissimo che mescolava siciliano e italiano, cogliendo in certo senso l’elemento fondante della cultura e dell’identità siciliana, che risiede proprio nella mescolanza, la sua più grande ricchezza.

“A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, – diceva Camilleri in un bel libro scritto con Tullio De Mauro – succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana”. Una profonda verità che qualsiasi siciliano ha sperimentato nella vita, l’impossibilità di rendere a pieno un concetto, un’emozione, una verità, senza ricorrere alla lingua dei padri. Ancora il Maestro: “Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto”.

In un’intervista realizzata per il Giornale di Sicilia qualche anno fa, parecchi per la verità, un grande di quel giallo italiano che con Camilleri divenne fenomeno mainstream, Carlo Lucarelli, mi confidò il fastidio provato alla prima lettura di un romanzo dello scrittore empedoclino: “Volevo scrivere a Sellerio e protestare”. E invece. E invece il lessico di Camilleri, con le sue “taliate”, i suoi “cabbasisi”, il suo “babbiare”, divenne patrimonio nazionale, sdoganato dalla potente leggerezza della sua ironia. Non “sicilitudine” ma “sicilianità”, una variante dell’insularità peculiare dell’isola al centro del Mediterraneo, separata dal mondo dal suo mare ma attraverso il suo mare con quel mondo in perenne contatto, in una storia di scambi, miscellanee, imbastardimenti, che ne hanno plasmato l’anima nei secoli. “Io, come siciliano, non mi sono mai sentito escluso dal resto del mondo – disse in una bella intervista di Simona Demontis -. Forse perché mi sono trovato, fin da piccolo, nella fortunata condizione di poter leggere molto. Tant’è vero che una volta trasferitomi a Roma e in un ambiente difficile come quello del teatro, non ho mai provato la tentazione di mimetizzarmi. Non facevo nulla, parlando, per nascondere la mia pronuncia dialettale. Avevo un’identità e l’ho mantenuta. Quello che ho cercato di dimostrare in seguito, scrivendo, era il valore dell’identità. Senza che quest’identità poggiasse su basi mitizzate”.

Quella Sicilia in cui la paura del “diverso”, contro la quale negli ultimi anni la sua voce autorevole d’intellettuale si fece sentire, è più folle e innaturale che altrove, perché è nell’incontro delle diversità che l’identità di questo popolo si è costruita. Isolani ma non isolati, malgrado tutto. Come racconta l’amore profondo fiorito copioso lontano dal nostro mare per il talento del Maestro.

 

 


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