Il pizzo si paga con i posti di lavoro| Ufficio di collocamento Cosa nostra - Live Sicilia

Il pizzo si paga con i posti di lavoro| Ufficio di collocamento Cosa nostra

Il blitz antimafia di ieri, a Palermo (nella foto gli arrestati), ci consegna la storia di un imprenditore che si era aggiudicato l'appalto per le pulizie di un impianto sportivo. E i boss iniziarono a consegnargli curriculum a raffica. Tutti di "donne bisognose".

PALERMO – “Perché, gli ho detto, c’è bisogno di lavorare… quei picciotti… perché sono dentro”. I “picciotti” erano i mafiosi finiti in carcere nelle operazioni antimafia degli ultimi anni. Ad avere bisogno di lavorare erano i loro parenti. E così i boss iniziarono a bussare a casa dell’imprenditore che si era aggiudicato l’appalto per le pulizie di un impianto sportivo.

Al tempo della crisi e della disoccupazione dilagante il pizzo si paga anche, e soprattutto, in posti di lavoro. Per la Procura non fa differenza – sempre di racket si tratta – e così contesta il reato di estorsione a Tommaso Contino, Giuseppe Fricano, Silvio Guerrera, Francesco La Barbera e Giovanni Vitale. Figurano tutti nell’elenco degli arrestati del blitz Apocalisse compiuto ieri da carabinieri, finanzieri e poliziotti.

La Barbera è l’uomo che nel 2012 pronunciò le parole intercettate dagli agenti della Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile. Dal punto di vista investigativo a nulla sarebbero servite, però, se l’imprenditore non si fosse convinto a denunciare le pressanti richieste. Alla fine ha ammesso di avere assunto due cognate di Contino, un’amica e una cognata di Guerrera, una sorella e un’amica di La Barbera, e altre tre ragazze a loro legate da un qualche rapporto. Tutte donne perché l’imprenditore, alle prime richieste per assoldare uomini, cercò di parare il colpo rispondendo: “Spiacente, assumiamo solo donne”. Difesa vana. Ben presto si vide recapitare in azienda alcuni curriculum di rappresentanti del gentil sesso.

Il primo a farsi sotto fu Fricano, l’insospettabile meccanico di via Libertà che gli investigatori piazzano al vertice della famiglia di Resuttana. Lo contattò al telefono e lo invitò ad un incontro. Giuseppe ci teneva a distinguersi da coloro che chiedevano il pizzo alle imprese senza tenere conto della crisi. Lui sì che era comprensivo, tanto che riteneva più opportuno chiedere posti di lavoro “per la gente bisognosa”. Tutte donne che avevano “i mariti detenuti”. Prima di andare via si mise pure a disposizione qualora l’imprenditore avesse avuto bisogno di riparare una macchina, tirando fuori dal taschino il biglietto da visita dell’officina di via Libertà. Di fatto mise la firma sulla richiesta estorsiva. Due giorni dopo un tale Giovanni gli portò i curriculum di tre donne.

Quando nel 2013 si fecero vivi altri due soggetti, l’imprenditore pensò bene di andare da Fricano per raccontargli tutto. E Fricano lo tranquillizzò. “Senti che vogliono e mi fa sapere”. E così fece, fissando un appuntamento. Ad un distributore di benzina si presentarono in due “a bordo di una Smart, uno con i baffi che si presentava come Silvio ed un altro che guidava più giovane”. Silvio gli chiedeva “se c’era la possibilità di fare lavorare alcune persone. E no, rispose l’imprenditore, aveva già aiutato Fricano. Silvio però insisteva: Fricano era un loro “fratello”, ma in quel momento era stato “messo da parte”.

Insomma, per i posti di lavoro avrebbe dovuto trattare con Silvio, identificato in Silvio Guerrera, considerati il capofamiglia di Cardillo. Risultato: tre nuovi curriculum e tre nuove assunte dopo un breve colloquio. Non finì lì, le richieste continuarono ad arrivare, tanto che quando l’imprenditore consegnò l’elenco delle nove neo assunte, dovette ammettere che “possono essere di più, ma in questo momento non ricordo”. Perché il pizzo, da un po’ di tempo a questa parte, si paga in posti di lavoro.


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