Il ritorno alla vita di Gesip - Live Sicilia

Il ritorno alla vita di Gesip

I lavoratori della Gesip, uomini e donne che dal 2 maggio riprenderanno la loro regolare attività, sanno che molti degli sguardi che incroceranno saranno di controllo, tesi a beccarli inoperanti per puntare il dito verso lo spreco.

‘La resistenza del legno varia a seconda del punto in cui si conficca il chiodo, il legno non è isotropo,’ scrive Barthes. Neanche l’essere umano lo è. Guida se stesso seguendo con cura la mappa dei suoi punti delicati, evitando le paure, le sofferenze, i chiodi.

Il pensiero di questa settimana va (inevitabilmente) agli uomini e le donne che costituiscono quel circo di colossali dimensioni che è la Gesip. Un pensiero per le loro manifestazioni, ingombranti e sacrileghe paralisi di una città che anche logisticamente parlando non è in grado di sostenere la mole di questa tribù.

La felicità del lavoratore che oggi torna a vedere la luce nel nuovo contratto è subito stata rotta, piegata, umiliata dalla voce di un popolo che chiede urlando la sua testa. Chi il 2 Maggio riprenderà la sua regolare attività sa che sarà visto con sdegno e critica, sa che molti degli sguardi che incrocerà saranno di controllo, tesi a beccarlo inoperante solo per il gusto di poter finalmente puntare il dito verso l’evidenza e lo spreco, per potergli ricordare dei cassonetti ribaltati del mese precedente.

Spreco, oltretutto, di denaro che sembra non esserci. Del resto, se ieri ho affermato pubblicamente di non avere nemmeno una forma di cacio per ricompensare il contadino, non posso pretendere, oggi, di essere ben visto se compro cento vacche.

L’indignazione nasce dal poco controllo che il cittadino ha delle tasse che paga, dei soldi che gli vengono mensilmente detratti dallo stipendio, quando ne ha uno, e dal sospetto che non gli vengano restituiti sotto forma di servizio. Il palermitano vede giorno dopo giorno una città sempre più misera e abbandonata a se stessa, fotografa i tetti del centro che nell’insieme variopinto di facciate cadenti ricordano paesaggi civici di luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini, ironizzando sul fatto che dovrebbe essere il ‘salotto’ di Palermo e per contro si diverte ad immaginarne lo sgabuzzino. Il palermitano pagatore di tasse, il palermitano gestore di attività, il palermitano imprenditore, il palermitano disoccupato teme, si angoscia, subisce, le falle di un momento di crisi che non è più un momento e si sfoga per come meglio può. Vede l’inadeguatezza del lavoratore Gesip in ogni difetto di forma (e contenuto) della città. Vede lo sperpero e la raccomandazione, le promesse clientelari (mantenute?), vede la totale mancanza di professionalità dell’impiegato pubblico, vede gli spazi verdi della città aridi e bruciati dal sole, vede servizi in tv su nuove tecnologie che messe in pratica dai comuni favoriscono il risparmio di centinaia di migliaia di euro annui (Umbria, non Svezia, non la luna). Vede i suoi figli, laureati cum laude e specializzati all’estero, persi nella ricerca di un lavoro che non c’è, perché ‘di quel posto lì se ne occupano i comunali’. E, inutile votarsi all’ipocrisia, comunali (tutti), che nell’immaginario collettivo sono manovalanza senza istruzione che porta a casa un mensile per scaldare la sedia senza far nulla, quando non è artefice di furti di opere d’arte e mobilio in assessorati & co. Sbaglia il palermitano pagatore di tasse, nel fare di tutta l’erba un fascio, ma come placare le sue ire quando è dimostrabile che non c’è differenza sostanziale, parlando di manutenzione cittadina, tra i periodi di inattività e quelli di operatività della Gesip? Ma su, un momento di serenità potremmo anche concederlo ai lavoratori Gesip. Non lasciamo che le statistiche, le cifre e le immagini della Palermo-terzo-mondo che abbiamo sotto casa intacchino lo splendore dello stesso vecchio carrozzone appena ridipinto sol perché difettiamo di fiducia. Gli stessi protagonisti, o almeno gran parte di essi, sembrano credere in questa illusione con la data di scadenza sul retro, scritta in caratteri, a quanto pare, molto piccoli.

La resistenza del legno varia a seconda del punto in cui si conficca il chiodo e, se trovato il punto giusto, una volta spaccato, non è suturabile. Neanche l’essere umano lo è.


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