Un tempo si chiamava questione morale, oggi si stila la lista degli impresentabili, domani chissà. Ma la storia è sempre la stessa e sì che ha una morale, una morale tutta sua: che la giustizia è una dea costantemente tirata in ballo nella danza macabra dei condannati a “morte politica” certa.
La politica immorale
La morale è che d’immorale in tutta questa storia c’è la politica stessa, che fa la gara del “puntadito” e ravana voti sulle inchieste (legittime!), sugli arresti (legittimi!) e sulle indagini (legittime!), che finiscono per essere solo il grigio corredo d’un dibattito sempre più incolore e sempre più colorito.
Una politica che parlamenta di morale è più immorale degl’immorali ch’essa perseguita. Sconfina nel moralismo. Invade il regno della giustizia degenerando in giustizialismo, strizza l’occhio alla pancia del popolo cedendo al fascino del populismo. E, cosa peggiore, non si preoccupa dei veri bisogni della gente, rivelandosi, il più delle volte, sterile e parolaia.
Il dibattito chiassoso
S’accartoccia su se stessa e su un dibattito chiassoso che non porta a niente. E ricerca la sua spinta propulsiva nell’agone perenne di fantocci e surrogati; non entra nella vita reale, al più la imita meccanicamente, per copione. Entra invece a gamba tesa su ogni avvenimento giudiziario, in corso o consumato che sia, facendone paradigma di moralità generalizzata.
È un politica malsana, lo è anche culturalmente e dialetticamente. È scuola senza guide di spicciola retorica, dove si appioppano patenti di moralità e si boccia senza pietà; è il terreno fertilissimo di scontri solonici e concioni filippiche contro questo e contro quello. È tutti contro tutti.
Il tritacarne che non risparmia nessuno
Una guerra di “puritanesimo” che non risparmia nessuno, da destra a sinistra, passando per i sedicenti moderati, anche loro arsi dal sacro fuoco della moralità. E non fa distinzioni. Condannati, indagati, assolti e pure chi ha espiato: vengono tutti messi nello stesso tritacarne, da cui fuoriesce una poltiglia d’infamia e fango da tirare addosso all’avversario.
Vero è che i realisti, da Machiavelli a Hobbes, hanno sempre detto che la politica parte dall’individuazione del nemico; vero è che la politica contro è molto più comoda e più redditizia, di quella pro che dovrebbe assumersi responsabilità, invece dribblate. Però, qua sono tutti nemici giurati, di continuo lapidati da chi ha peccato eppur scaglia pietre a mai finire.
La politica del “dito puntato”
Altro che politica! Accendo la tv o apro un giornale e il Minosse di turno sta lì; in giacca e cravatta o in fine tailleur, sta lì, col suo dito puntato, a dissertar di etica politica (di cui è tenutario) e a dannare le avversarie anime. Spengo, chiudo. Non è questa la politica che voglio, non è la questa la politica che, a mio avviso, un Paese maturo merita.
La Politica (il maiuscolo non è un refuso) non dovrebbe utilizzare l’etica; deve professarla, ovvio, ma non utilizzarla come arma di distrazione di massa e distruzione dell’altro. Perché una politica che cerca voti sulla morale o, meglio, sull’immoralità dell’altro (vera o presunta che sia) non è solo astiosa e venefica, è vuota, inefficace, inutile: non lo dico io, lo dice la nostra storia più o meno recente.
Senza andare troppo indietro nel tempo, basti pensare a quella che fu l’operazione Lega Nord al grido “Roma ladrona”, passando poi per quell’Italia dei valori immaginata dal Di Pietro non più Pm ma guru di legalismo, per finire all’apoteosi giustizialista dei grillini.
Le tre macro fasi dell’antipolitica
Mi domando: queste tre recenti macro-fasi di antipolitica evolutasi in azione istituzionale, hanno migliorato il nostro Paese e la condizione di vita dei suoi consociati? No. E non hanno neppure alzato la cifra morale dei nostri politici.
Moralizzare non vuol dire educare e non vuol dire neppure selezionare. Nessuno (o quasi) qua si preoccupa di selezionare e quello sì che sarebbe professare l’etica, sì che sarebbe un buon antidoto al degrado affaristico-delinquenziale cui assistiamo; non la soluzione, perché nessuno ha il mafia-detector, ma un buon antidoto sì. Solo che nessuno se ne preoccupa: ecco l’ipocrisia!
I voti freschi di bucato
Sembra quasi che non sia l’onestà l’obiettivo, bensì la disonestà dell’altro; del resto, è conveniente far così, genera voti, voti facili e freschi di bucato. La gente vuole vedere il sangue, vuol sentirsi sadicamente migliore dello sventurato immorale (vero o presunto che sia), gradisce chi allo sventurato dà il colpo di grazia.
E la politica paracula le va dietro. Cavalca la tigre. Anzi, il leone, i cui ruggiti echeggiano sulle tastiere e assordano tutti, anche coloro che al panem et circenses dovrebbero preferire, per cultura o per indole, lo spessore d’un dibattito più costruttivo, ma che inesorabilmente cedono di fronte a una bella dissertazione sul ladro e cornuto di turno (vero o presunto che sia).
Il fango che non va via
Ed ecco che tutto diventa l’immenso, continuo tritacarne sputafango di cui sopra. Ma dove sta il fango? In chi delinque? Certo che sì. Ed è fango schifoso che ad altri spetta ripulire (tutti facciamo il tifo per i magistrati, senza se e senza ma). Il fango sta nei partiti che, appunto, parlamentano di etica ma
selezionano aritmetica? Si, anche. Ed è fango difficile da tirar via, servirebbe meno Coccolino e più olio di gomito.
E noi, comunità politica nel senso “ateniese” dell’espressione? Anche noi siamo sporchi. E ci spetterebbe ripulirci delle nostre, di incrostazioni; del perbenismo, del moralismo, della cecità improsciuttata da cronaca giudiziaria, dell’avidità di sangue nell’arena e mostri sbattuti in prima pagina (veri o presunti che siano).
Le troppe incrostazioni
Siamo talmente incrostati da non comprendere che un partito, qualsiasi partito, è comunque fatto da uomini e donne e non il contrario; da non comprendere che un partito sono i suoi valori, le sue idee, i suoi programmi. E che va votato per questo, non perché ha tra le sue fila un indagato o un condannato in meno; anche perché – anche qui la storia insegna – i partiti d’immorali son sempre “incinti”.
Qua, a poche settimane dal voto per le Europee, nessuno parla della BCE, delle nostre case, della Bolkestein o – che so io – della necessità di una difesa europea unitaria, se non marginalmente e dopo aver sparato tutte le cartucce a disposizione su Bari o sul Piemonte o su Catania. Non distinguiamo più tra giusto e sbagliato, tra principi e valori, tra programmi e obiettivi.
E godiamo, anziché reagire trasversalmente, dell’odiosa ostracizzazione che sta subendo il buon Cuffaro (digressione faziosa, me ne scuso, ma paradigmatica ed attualissima), il quale, seppure abbia scontato la sua pena e sia stato riabilitato della legge e le sue articolazioni istituzionali, è oggi un povero Jean Valjean nelle grinfie infinite dei tanti Javert che soffiano sul fuoco purificatore… e chissenefrega dei miserabili democristiani!
Tra verità e narrazione
Non riusciamo più a discernere tra verità e narrazioni, a leggere tra le righe, non c’interessa neanche più leggere le righe, ci bastano i titoloni e i post dalle grafiche cubitali. Siamo probabilmente anche rassegnati, da non aspettarci più null’altro dalla politica che il salottiero sfogo contro l’avversario immorale o il sermone in diretta Facebook.
Che poi, sapete qual è il risvolto di questa mia modesta dissertazione? Che a giugno non voteremo per i più bravi, ma per gli Onesti o per i Martiri (neanche qui c’è refuso). E streghe e stregoni tutti al rogo, chè Salem non è poi così lontana e non è poi così passata (di moda)… ma questa è un’altra storia.
Oppure, peggio ancora, voteremo per i presunti favori che gl’immorali ci prometteranno a pie’ sospinto. Ricordiamoci sempre che il politico pratica immoralità nella misura in cui c’è qualcuno disposto a riceverla e a rendergliene a sua volta. È uno scambio, appunto. Uno scambio schifoso. Ma che faccio,
moralizzo?
* L’autore è portavoce nazionale della Democrazia Cristiana