"Ma quale sistema Giacchetto | La truffa l'ha fatta la Regione" - Live Sicilia

“Ma quale sistema Giacchetto | La truffa l’ha fatta la Regione”

L'interrogatorio di Faustino Giacchetto. Il manager della pubblicità si difende puntando l'indice contro la politica: "Il Coorap serviva per pagare gli stipendi dei lavoratori della Formazione".

PALERMO – “Ma quale comunicazione, ma che ‘sistema Giacchetto… la truffa all’Europa l’ha fatta la Regione”. La difesa di Faustino Giacchetto è il più classico contrattacco. Il manager, sentito il 20 giugno (subito dopo l’arresto, quindi), dal giudice per le indagini preliminari Luigi Petrucci davanti ai pm Pierangelo Padova e Maurizio Agnello, e al difensore di Giacchetto, Giovanni Di Benedetto, ha raccontato la sua versione dei fatti, puntando l’indice contro la politica: “La spesa mica la decidevo io, ma gli assessori. E il progetto Coorap servì solo per garantire uno stipendio a quasi 300 lavoratori degli enti, in esubero”. Lavoratori, insomma, ai quali i vari enti di Formazione non avrebbero potuto garantire gli stipendi. E nei confronti dei quali, quindi, sarebbe scesa in campo la politica, che avrebbe escogitato il meccanismo, semplice semplice insomma: far transitare i lavoratori a rischio nel “libro paga” del Coorap. Irrorato dai fondi dell’Unione europea. Il j’accuse del manager salta fuori dalla trascrizione integrale dell’interrogatorio di Faustino Giacchetto. Ed è un aspetto finora inedito delle sue dichiarazioni.

Oltre a difendersi dall’accusa di avere creato un sistema per controllare la comunicazione del Ciapi e dei Grandi eventi (“tutto in regola”), e a negare di avere pagato tangenti ai politici (“con loro c’era un rapporto di comparaggio e il politico nelle decisioni delle gare pubbliche ha valore zero”) Giacchetto ha chiamato in causa le responsabilità di altri. Di certo non le sue. Nelle parole di Giacchetto, insomma, tutto l’aspetto riguardante la comunicazione passa sullo sfondo. “Io ricordo – racconta il manager agli inquirenti – che su 15 milioni di euro finanziati all’amministrazione regionale, ben 11 milioni sono stati pagati  stipendi a regionali che l’amministrazione regionale a prescindere doveva pagare. Quindi questa mega somma di cui si parla a favore di una mega truffa, per 11 milioni la truffa l’ha fatta l’amministrazione regionale, cercando di frodare l’Olaf e l’Unione Europa”.

I “regionali”, in realtà, non sono dipendenti della Regione a tutti gli effetti. E la cosa diventa chiara nel resto dell’interrogatorio. Giacchetto si riferisce infatti ai dipendenti degli enti di formazione, non “formalmente” regionali, ma i cui stipendi erano comunque garantiti da una legge e dai finanziamenti regionali. Insomma, la truffa, sostiene il manager, l’avrebbe compiuta la Regione “facendo sì che con questo progetto tutti i ragazzi che dovevano essere pagati in ogni caso dall’amministrazione regionale… sono dipendenti dell’amministrazione regionale. L’amministrazione regionale li ha messi in un progetto travasato, in un progetto pilota perché non aveva i soldi per potere pagare gli stipendi, allora cosa è stato fatto? E’ stato fatto un progetto in cui sono stati travasati tutti i dipendenti degli enti regionali per gli ultimi tre mesi di stipendio…”.

I magistrati a questo punto chiedono di precisare se il manager si riferisce agli enti di formazione. Giacchetto conferma: “Gli 11 milioni di stipendio – aggiunge – vengono transitati all’interno del progetto per dare una veste e soprattutto un servizio e renderlo anche visibile dal punto di vista della fattibilità e della spendibilità agli occhi dell’Unione europea, lo si è vestito con una serie di servizi per renderlo credibile, veritiero ed efficace. Se poi – insiste – all’interno dei 15 milioni 11 milioni e mezzo sono stati pagati negli stipendi, la vera truffa è imputabile esclusivamente all’amministrazione regionale che per sua volontà ha fatto sì…”. Ma i giudici incalzano. E spiegano che “l’amministrazione regionale non risponde di reati”.

Già. A rispondere di reati sono le persone. Gli assessori, in questo caso. “Guardi – risponde Giacchetto- nell’amministrazione regionale mi insegna che il potere di spesa, quindi di destinazione delle somme è di competenza esclusivo dell’organo politico… la legge 10 dice che per quanto riguarda la destinazione delle somme la direttiva di utilizzo delle somme è in capo all’ordine politico, dal punto di vista amministrativo la responsabilità oggettiva di tutta l’effettiva spesa, e quindi di tutta la trafila amministrativa è dell’organo amministrativo. Quindi se qualcuno ha dato una direttiva di natura…”.

La “colpa”, se c’è, quindi è dell’assessore. Ma quale? “E non me lo ricordo io, – risponde Giacchetto – cioè se io avessi la possibilità di rivedermi nel merito le dico chi ha fatto la direttiva, anche perché mi scusi io non è che devo entrare nel merito. Se mi dice il Ciapi nel giugno del 2007 dobbiamo fare un progetto e tu hai la massima esperienza nel servizio di comunicazione e di tutta questa attività, facciamo… perché questa operazione deve transitare all’interno di questo progetto, vestimelo da questo punto di vista, lei che fa? Cioè io faccio questo lavoro…”. Giacchetto faceva questo lavoro. Non si occupava di destinare la spesa. Veniva chiamato per “vestire” il progetto dal punto di vista della comunicazione. Al resto, pensavano altri. I pm chiedono se tra “gli altri” c’è Rino Lo Nigro: “Lo Nigro ha dato una direttiva Ciapi di eseguire Enaus (in house, ndr), in quanto ente strumentale, l’esecuzione di questo progetto. Ma Lo Nigro lo esegue in funzione di una direttiva assessoriale, io non ricordo chi era l’assessore del ramo…”.

Il manager non ricorda chi fosse l’assessore al ramo. Nonostante, subito dopo dimostri un’ottima memoria: “Guardi – dice ai giudici – io gli assessori tutti li ho conosciuti, dal 2003 – 2004 ad oggi da Stancanelli posso fare la cronistoria, dal 2003 era Stancanelli, poi è subentrato Scoma fino al 2006, dal 2006 poi è subentrato Formica fino al 2008. Dopo Formica Incardona, e dopo Incardona credo Gentile. Io – prosegue – ho una ottima memoria. Però dico nella fattispecie non so chi sia in quale periodo è la fattispecie…”. Sarebbe stata la politica, insomma, a volere fortemente il Coorap. E il motivo è il solito: clientelismo. Un tentativo, insomma, di garantire decine di lavoratori a un passo dal licenziamento: “Sono transitati – ricorda Giacchetto, per il quale il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione – su 273 operatori, 223 o 243 di cui le dico che almeno 100 erano del Cefop per il semplice motivo perché era in prefallimento e quindi non poteva pagare gli stipendi, e lo strumento era quello di passarlo per 3 mesi in questo progetto che poi è stato prorogato di anno… di semestre in semestre, di tre mesi in tre mesi ed è durato 13 mesi. E la fattispecie più grave è che nessuno di questi dipendenti, essendo già regionali, in una proroga successiva di rapporti di lavoro perché si trattava di rapporti… ha fatto causa al Ciapi, perché se un dipendente viene prorogato per due volte di seguito ha il diritto alla trasformazione in diritto fisico. Giustamente poiché era già coperto dall’amministrazione regionale e dagli enti regionali non ha avuto interesse neanche a fare causa”.

Oltre 220 su 270 operatori del Coorap, quindi, sono stati pescati dagli enti. E i lavoratori non hanno nemmeno chiesto l’assunzione, dopo il rinnovo dei contratti a tempo determinato. Erano infatti “coperti” dalla Regione e dagli enti. Sarebbero, insomma, stati riassorbiti. “L’aspettativa maggiore era quella che lo stesso progetto Corap (Coorap, ndr) doveva transitare in un progetto molto più grande che si chiamava Fornispet, in cui tutta la sigla dei soci fondatori del primo, cioè coloro i quali avevano passato tutto il personale all’interno del progetto Corap, hanno costituito una Ts (Ats, associazione temporanea di società, ndr)”. Ovviamente, il progetto “Fornispet” non esiste. Quello che è più vicino appare il “Formispe”, progetto effettivamente partito. Ma il meccanismo somiglia a quello che preparerà il progetto “Futuro semplice”, poi stoppato dalla Corte dei conti. Ma la difesa di Giacchetto è chiara: non è lui il responsabile della truffa da 15 milioni. “Se domani per come leggo nell’ordinanza – dice ai giudici nelle ore successive all’arresto – mi fa un sequestro di 15 milioni di euro, io le dico che su 15 milioni il profitto sicuramente non ce l’ho di 15 milioni, lo posso avere anche di un euro qualora nel processo poi lei me lo prova. E’ sempre subordinato poi alla prova. Ma da questo punto di vista dico 11 milioni sono andati…”. Andati, per pagare stipendi. Come ha deciso la politica. “Lei sta dicendo – chiedono allora i giudici – questa era una cosa per vestire un progetto diverso, cioè dare soldi e dare stipendio a persone che altrimenti non avrebbero potuto avere, ho capito bene? “Perfettamente” dice Giacchetto. “In ogni caso posso dire che non ero io l’assessore al ramo”.


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