Il video di Provenzano derelitto in carcere | Una lezione da far studiare a scuola - Live Sicilia

Il video di Provenzano derelitto in carcere | Una lezione da far studiare a scuola

di ROBERTO PUGLISI Nella sua umanità crollata, Bernardo Provenzano si vede per ciò che è, con esattezza, nel traguardo verso cui si è consapevolmente indirizzato: un uomo che si congeda, tra gravissime sofferenze di fisico e di spirito, senza mani da stringere.

Il filmato di 'Servizio pubblico'
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Ecco chi è un boss. Un vecchio morente con la mano che trema, che non riesce nemmeno a compiere gesti di senso compiuto, come alzare la cornetta di un telefono carcerario. Bernardo Provenzano, nelle riprese di ‘Servizio pubblico, è lontanissimo dall’immagine della mafia che abbiamo spesso raccontato e appreso, per ripeterla nel riflesso mediatico condizionato. E’ un fantoccio. Riassume nella sua fine, la sintesi di un disastro irreparabile.

Cari ragazzi, cari telespettatori delle fiction alla ‘Capo dei capi’, cari lettori di inchieste e romanzi che ci hanno invariabilmente mostrato il mafioso – mischiando pedagogia e letteratura – come una creatura orrenda, certo, ma anche affascinante, sulfurea, pervasa da un mistero che colpisce e che attrae, vi invitiamo a guardare con molta attenzione il filmato. Studiatelo. Fatelo studiare a scuola. E, se siete tra i banchi, pretendete che i vostri professori ne discutano con voi. Vi verrà addosso la mafia com’è e come non vi è stata spiegata mai.

Se Bernardo Provenzano avesse scelto di lavorare da contadino nei campi di Corleone, se il suo soprannome ‘u tratturi’ fosse l’eco di un mestiere da calli sulle mani e non l’ombra di un’esistenza da assassino e mandante di assassini, oggi saremmo davanti a un’altra storia, personale e collettiva. Non l’avremmo narrata. I giornali non si curvano sulle esistenze delle persone semplici che non fanno notizia. Per fortuna.
Basta pensarci un attimo per riannodare il cammino di una Sicilia diversa. Il signor Provenzano B. sarebbe già morto, nel suo letto, accompagnato dalle benedizioni di amici e parenti. Oppure vivrebbe, circondato da figli e nipoti. Avremmo sopportato meno dolori, tutti noi che siamo stati vittime, dirette o collaterali, della crudeltà di un boss e dei suoi cani da guardia.

Invece Binnu, nato a Corleone, ha scelto il male, senza scusanti. Ha seguito la rotta del perfetto mafioso, violento, traditore, spietato con i deboli e servo con i più forti. Ha fabbricato una carriera criminale, è arrivato al vertice, dalla parte sbagliata, nel punto che coincide con l’estremo limite dell’orrore. Ha provocato il pianto inconsolabile di madri, padri, mariti e mogli. Le immagini di ‘Servizio pubblico’ non lasciano indifferenti. Nella sua umanità crollata, Bernardo Provenzano si vede per ciò che è, con esattezza, nel traguardo verso cui si è consapevolmente indirizzato: un uomo che si congeda, tra gravissime sofferenze di fisico e di spirito. Un relitto a cui non è concesso di stringere le mani dei suoi cari.

Questo amarissimo destino, Bernardo Provenzano se l’è costruito con ostinazione, volontà e cinismo, drogato dal sogno del potere, noncurante del sangue da versare, del prezzo imposto agli innocenti per la sua ascesa. Nella mistica blasfema della mafia era considerato un capo invincibile, un mito inscalfibile. Ora Binnu è ridotto all’emblema di una dannazione che gli si ritorce contro nella cupa solitudine di un carcere. Imparata la lezione, possiamo avvertire una fitta di pena. Possiamo essere umani e concepire una strana pietà. Possiamo permettercelo. Se siamo migliori di lui.


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