Clan di Porta Nuova e Bagheria| Due secoli mezzo di carcere - Live Sicilia

Clan di Porta Nuova e Bagheria| Due secoli mezzo di carcere

Un frame delle video intercettazioni

Decine di imputati. Tutti i condannati e gli assolti.

PALERMO - LA SENTENZA
di
0 Commenti Condividi

PALERMO – Condanne pesanti, ma anche assoluzioni. Sotto accusa c’erano gli uomini dei clan di Porta Nuova e Bagheria. A cominciare dal presunto reggente del potente mandamento palermitano, Paolo Calcagno, e Teresa Marino, moglie del boss detenuto Tommaso Lo Presti. Hanno avuto 14 anni ciascuno di carcere.

Dalla cella sarebbero partite le direttive, veicolate dalla donna, che avrebbe avuto voce in capitolo anche nella gestione dei traffici di droga e delle estorsioni. I carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo avevano bloccato due corrieri in Argentina e Francia, partiti per conto dei boss.

Lo Presti e Calcagno, fino al blitz era un insospettabile commerciante di pesce surgelato all’ingrosso, hanno lavorato fianco a fianco. Poi, quando il primo è finito in cella, il secondo ne avrebbe preso il posto. Un posto fondamentale nello scacchiere della mafia palermitana ricostruito dai pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli.

Sotto accusa c’erano pure gli imprenditori Massimo Monti, titolare della società Kursaal che gestiva la sala Bingo di via Emerico Amari, e Maria Rosa Butera, titolare del “Lido Battaglia” di Isola delle Femmine. Rispondevano di favoreggiamento per avere negato di avere subito richieste estorsive. Sono stati condannati, ma la pena è stata sospesa.

E poi c’era il capitolo bagherese dell’indagine. In particolare, le indagini si concentrarono sul clan di Villabate, guidato, secondo l’accusa da Giampiero Pitarresi.

Ecco l’elenco degli imputati e le pene inflitte in abbreviato, dunque con uno sconto per la scelta del rito alternativo, dal giudice per le indagini preliminari Nicola Aiello:  Alessandro Bronte (12 anni), Paolo Calcagno (14 anni), Pietro Catalano (8 anni), Tommaso Catalano (6 anni), Carmelo D’Amico (10 anni), Salvatore David (4 anni, a fronte dei 12 richiesti dai pm. E’ caduta l’accusa di associazione mafiosa. Era difeso dagli avvocati Antonio Gargano e Toni Palazzotto), Francesco Paolo Desio (8 anni), Giuseppe Di Cara (8 anni), Giuseppe Di Giovanni (assolto e subito scarcerato. Era difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Simona Lo Verde; su di lui pendeva una richiesta di condanna a 10 anni perché avrebbe ereditato il bastone del comando dai fratelli Tommaso e Gregorio), Pasquale Di Salvo (il collaboratore ed ex autista di Giovanni Falcone ha avuto 5 anni e 4 mesi), Rosario Fricano (assolto, era difeso da Giovanni Castronovo), Nunzio La Torre (8 anni), Francesco Paolo Lo Iacono (8 anni), Teresa Marino (14 anni), Rocco Marsalone (12 anni), Andrea Militello (4 anni), Bartolomeo Militello (12 anni) Salvatore Mulè (8 anni), Giampiero Pitarresi (14 anni), Massimiliano Restivo (8 anni), Giuseppe Ruggeri (condannato a 3 anni, ma assolto dall’associazione mafiosa per cui rischiava 15 anni), Antonino Salerno (6 anni), Ludovico Scurato (6 anni), Domenico Tantillo (14 anni, ritenuto il capo del clan di Borgo Vecchio ) e Giuseppe Tantillo (5 anni e 4 grazie all’attenuante prevista per i collaboratori di giustizia), Andrea Militello (4 anni), Angelo Mendola (6 anni), Antonino Abbate (6 anni), Salvatore Ingrassia (8 anni), Giuseppe Minardi (6 anni), Gaspare Parisi (6 anni), Vincenzo Vullo (6 anni), Massimo Monti (2 anni), Maria Rosa Butera (2 anni), Giuseppe Bucaro (assolto), Mario Sciortino (assolto), Salvatore D’Asta (2 anni), Mario Sciortino (assolto, era difeso dall’avvocato Antonino Pagano), Francesco Terranova (6 anni), Gaetano Tinnirello (assolto e subito scarcerato, era difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Ida Giganti. Non ha retto l’accusa che lo inquadrava come il ‘grande vecchio’ di Cosa nostra, un personaggio storico di corso dei Mille che interveniva per dirimere le faccende più delicate), Antonino Virruso (8 anni), Salvatore Scardina  (12 anni).

Un processo attraversato dalle tensioni. Nei mesi scorsi qualcuno ha tracciato una croce sulla porta dell’ufficio del giudice Aiello. In precedenza era stata disposta la vigilanza per il magistrato. Durante una delle udienze, uno degli imputati si sarebbe rivolto a lui dicendo “questo è crasto”. Frase sentita da una guardia penitenziaria. Gli imputati avevano anche pure chiesto la ricusazione di Aiello, poi rigettata dalla Corte d’appello.


0 Commenti Condividi

Le nostre top news in tempo reale su Telegram: mafia, politica, inchieste giudiziarie e rivelazioni esclusive. Segui il nostro canale
UNISCITI


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *