Messina Denaro, "un albero nella foresta": amori, lusso e segreti - Live Sicilia

Messina Denaro, “un albero nella foresta”: amori, lusso e segreti

"Se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta"
LA MORTE DEL BOSS
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PALERMO – Matteo Messina Denaro citava un proverbio ebraico per spiegare le ragioni della sua scelta. “Se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta”. Così disse rivolgendosi con tono di sfida ai magistrati di Palermo che andarono a interrogarlo dopo l’arresto. Ambiguo, a tratti ammiccante, pieno di sé, orgoglioso del suo essere mafioso. Ha scelto di rimanere in silenzio, fino all’ultimo respiro. Non poteva essere altrimenti. È morto per come ha sempre vissuto, da boss irredimibile fedele all’ortodossia di Cosa Nostra di cui era rimasto il più autorevole rappresentante in vita.

La malattia

“Mi avete preso per la malattia”, aggiunse. Quando ha scoperto di avere il tumore che lo ha ucciso era tornato stabilmente a Campobello di Mazara, ad una manciata di chilometri dalla sua Castelvetrano. Era stato costretto persino a dotarsi di un cellulare (in realtà ne aveva tre) da indicare nelle schede degli ospedali, pubblici e privati, che lo hanno accolto e curato. Negli ultimi tempi non ha certo vissuto nell’ombra, protetto da una rete ristretta di fedelissimi e da una connivenza generalizzata. Nulla faceva per evitare di farsi notare. Se fosse stato solo per la bugia messa in circolazione lo avrebbero smascherato da tempo.

I libri e i pizzini

Ad un’amica, una delle tante che frequentava nella sua movimentata vita sentimentale, disse di chiamarsi Francesco Salsi e di essere un medico anestesista in pensione. Un medico facoltoso visto che spendeva ventimila euro al mese. Al ristorante ordinava champagne e al polso portava un orologio Frank Muller Geneve Color Dreams da decine di migliaia di euro. Amava il lusso.

Divoratore di libri. Sugli scaffali dell’appartamento dove ha vissuto negli ultimi tempi c’erano una cinquantina di volumi. Dalla biografia di Vladimir Putin a quella di Fabrizio Corona, da Andre Agassi a Pablo Escobar. Ed ancora Guez, Baudelaire, Dostoevskij, Bukowski e Mario Vargas Llosa. Leggeva molto e scriveva altrettanto. Indicazioni di affari, pensieri esistenziali, lettere d’amore. Il padrino trapanese raccomandava alla sorella di sbarazzarsi in fretta dei pizzini, distruggendoli, ed invece Rosalia li ha conservati. Alcuni per anni. Dalle indicazioni su come scovare telecamere e microspie, agli auguri indirizzati alla figlia Lorenza per il suo diciassettesimo compleanno. Oggi di anni ne ha 27 e ha scelto di prendere il cognome del padre.

In Italia e all’estero

Ci sono delle bandierine da piazzare nella mappa degli spostamenti e dei suoi viaggi durate la latitanza. A Palermo e in Calabria, ma anche negli Stati Uniti, in Venezuela, Albania, Tunisia, Spagna e forse anche in Montenegro. Di tanto in tanto rientrava in Sicilia. Per un certo periodo, tra il 2007 e il 2010, Matteo Messina Denaro ha “coabitato” con la maestra Laura Bonafede, moglie di un ergastolano, e la figlia, Martina Gentile. Non è dato sapere al momento, dov’era il loro nido d’amore.

Amori e gelosie

Dopo una pausa forzata di recente erano tornati a vedersi anche se con maggiore cautela. Avevano fissato due appuntamenti, uno per guardarsi negli occhi, magari davanti al banco salumi del supermercato, e l’altro per lo scambio della corrispondenza. La relazione con Bonafede è stata tormentata dalla gelosia che la maestra provava nei confronti di Lorena Lanceri, la postina delle loro comunicazioni. In realtà erano in grande intimità, tanto che hanno trascorso insieme a casa di lei l’isolamento Covid.

Il marito di Lanceri, Emanuele Bonafede, aveva accettato di buon grado la presenza fissa del latitante. Pranzi, cene, giocate a carte. Messina Denaro si era sdebitato regalando alla coppia i soldi – 6.300 euro – per comprare il regalo di cresima del loro figlio: un Rolex. La maestra si sentiva tradita, lei che conosce i segreti più intimi del padrino. A cominciare dal “tugurio” dove “stavamo bene, ero felice di trascorrere quel tempo insieme”. Oppure il “limoneto”, altro luogo di incontri e di misteri. La vita di Messina Denaro è stata avventurosa, come egli stesso l’ha definita. Non sempre alla luce del sole. Non è casuale che abbia associato la sua latitanza anche la parola caverna “caverna“.

I grandi misteri

Ci sono molti misteri che rischiano di restare tali per sempre, sepolti da quel “non mi pentirò mai” detto dal boss subito dopo l’arresto. Da dove provenivano i soldi del capomafia? “Se ho qualcosa non lo dico, sarebbe da stupidi”, aggiunse. Su questo fronte i magistrati di Palermo hanno già fatto delle scoperte, ma la filiera del denaro aveva numerosi passaggi.

Sulle stragi di mafia Messina Denaro è al corrente del cambio di strategia voluto da Totò Riina: uccidere Giovanni Falcone non più a Roma, ma a Capaci. Il boss trapanese faceva parte del commando della missione romana fatto rientrare in Sicilia per organizzare un attentato di matrice terroristica. Cosa c’era dietro la decisione di portare orrore e morte nel resto d’Italia con le stragi del ’93? Anche questo Messina Denaro sapeva. Così come sapeva se davvero è esistito l’archivio di Riina che sarebbe stato fatto sparire ripulendo il covo di via Bernini a Palermo, dove il capo dei capi trascorse l’ultima parte della latitanza. E probabilmente Messina Denaro aveva pure le risposte sul mistero dell’agenda rossa di Paolo Borsellino.

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