Mori, la maledizione, la trattativa | Quel che resta di un'assoluzione - Live Sicilia

Mori, la maledizione, la trattativa | Quel che resta di un’assoluzione

L'ex ufficiale dei carabinieri Mario Mori

Dalle ombre sul Ros al processo sul presunto patto tra i boss e lo Stato. La partita non è chiusa.

Il processo di Palermo
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PALERMO – “L’udienza è tolta”, dice il presidente della Corte d’appello, Salvatore Di Vitale. L’udienza è tolta, ma la partita non è chiusa. La conferma dell’assoluzione del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu ha degli strascichi. Alcuni diretti, altri indiretti.

A cominciare da quelli che tirano in ballo, ancora una volta, i carabinieri del Ros, il reparto operativo speciale un tempo guidato da Mori. È come una “maledizione” da cui non riescono a liberarsi dai tempi della mancata perquisizione del covo di Riina. Mori esulta per la vittoria, nonostante le “opacità operative” e le “condotte discutibili” che gli furono addebitate in primo grado, lui che ha conosciuto l’amaro passaggio da eroe, quando il 15 gennaio ’93 guidò l’arresto di Totò Riina, a servitore infedele dello Stato, sospettato di avere tessuto la trama della trattativa con i sanguinari boss corleonesi, per mezzo di don Vito Ciancimino. Neppure Mori, però, sarà felice per le nuove ombre che si addensano sul Ros di cui fu vice comandante e che ha sempre difeso, in aula e fuori dai Palazzi di giustizia.

La Corte d’appello ha trasmesso alla Procura i verbali delle testimonianze di Mauro Olivieri, Francesco Randazzo, Pinuccio Calvi, Giuseppe Mangano, Roberto Longo e anche di Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo che arrestò Totò Riina. Adesso rischiano l’incriminazione per falsa testimonianza. Sono i carabinieri del Reparto operativo speciale, protagonisti dell’inseguimento di Terme Vigliatore. Era il 1993 quando i militari incrociarono un uomo alla guida di una macchina che li speronò. Dissero che somigliava all’allora latitante Pietro Aglieri. In realtà era il figlio di un imprenditore. “Balle”, hanno sostenuto i pm d’appello: l’inseguimento fu utile solo a fare scappare il boss catanese Nitto Santapaola che si nascondeva in zona. I militari, sentiti in aula, non hanno fornito dichiarazioni chiarificatrici. A volte sono state ritenute contraddittorie, sia sull’inseguimento che sulla perquisizione nella villa dove viveva l’uomo scambiato per Aglieri. Ed è probabilmente per questo, lo sapremo con le motivazioni, che Di Vitale ha trasmesso gli atti alla Procura. Sul punto Mori spiegò che “Santapaola venne arrestato 40 giorni dopo” e puntò sull’assurdità dell’assunto secondo cui, “il Ros avrebbe rischiato di uccidere una persona estranea a tutto pur di far fuggire Santapaola”.

E poi c’è il capitolo Trattativa. Sono evidenti le implicazioni sul processo ancora in corso in Corte d’assise che vede Mori sotto accusa assieme a boss e rappresentanti delle istituzioni. Per fermare le bombe il generale avrebbe ricevuto mandato da pezzi dello Stato di trattare innanzitutto con Totò Riina e poi con Bernardo Provenzano. Quando si capì che le richieste del capo dei capi erano “irricevibili” sarebbe stato deciso di tagliare fuori Riina per affidarsi al moderato Provenzano che, in cambio di un salvacondotto, mise in mano di don Vito Ciancimino, tramite il figlio Massimo, le mappe per localizzare e arrestare Riina. Nelle motivazioni dell’assoluzione di Mori in primo grado il Tribunale, però, attribuiva il merito esclusivo della cattura di via Bernini ai tanto vituperati carabinieri del Ros. Quanto a Ciancimino jr le sue dichiarazioni furono giudicate prive di ogni riscontro, inaffidabili e possibilmente false, tanto che i suoi verbali, e quelli di Riccio, furono trasmessi alla Procura. Per Riccio ci fu una richiesta di archiviazione. Non conosciamo l’esito degli accertamenti su Massimo Ciancimino. Per sapere cosa pensano sul punto i giudici d’appello si dovranno attendere i novanta giorni che serviranno per scrivere le motivazioni. Una cosa è certa, però, molti fatti ascoltati in questo processo sono già stati sentiti anche in quello sulla Trattativa. Durante l’arringa difensiva, l’avvocato di Mori, Basilio Milio, non fu tenero: “Quel processo sulla trattativa è una reazione a questa assoluzione pronunciata in primo grado. Stessi testi, stesse domande, stessi documenti”.

Ora l’assoluzione è stata confermata anche in appello, dove Scarpinato ha tentato il colpo di teatro: sganciare il processo a Mori da quello sulla trattativa divenuta una zavorra, specie dopo che era caduto un altro pezzo della tesi trattativista con l’assoluzione di Calogero Mannino. Mannino era il politico che, così sosteneva l’accusa crollata, avrebbe sponsorizzato il patto per salvarsi la pelle. Sganciarsi dalla trattativa ha significato sostenere un’impostazione accusatoria quanto meno singolare. Quella che individuava in Mori e Obinu i favoreggiatori di Provenzano considerato, quest’ultimo, non il capo di Cosa nostra, ma un criminale come tanti.


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