Myrmex, lavoratori licenziati. Calvi| “Sto lottando per trovare soluzioni" - Live Sicilia

Myrmex, lavoratori licenziati. Calvi| “Sto lottando per trovare soluzioni”

Momenti di grande tensione per i lavoratori della Myrmex, da ieri licenziati a tutti gli effetti. Il capo della società, ieri, avrebbe già incontrato l’assessore regionale Lo Bello con lo scopo di trovare possibili soluzioni. Ma il progetto è al momento top secret.

CATANIA – In principio c’era la Regione siciliana. Perché del progetto ne fu un premuroso concertatore e la regia stessa. Un piano complesso fatto di accordi, di intese fra società e multinazionali, di delibere, di speranza e di ottimismo. Dall’altro lato, solo una recita, un fiume di ipocrisie e di silenzi imbarazzanti. Le fondamenta alla base di un castello che ha sempre scricchiolato. Ed ecco che oggi tutto è crollato. Puntualissimo è arrivato l’appuntamento con una sorte che, in fin dei conti, sin dal primo giorno, sembrava già scritta.

A partire da oggi i lavoratori della laboratorio Myrmex sono licenziati a tutti gli effetti. Da ieri è scaduta la cassa integrazione. Scatta, dunque, la mobilità. I ricercatori hanno già intrapreso nuove azioni di lotta protestando ieri davanti lo stabilimento e facendo appello alla Regione perché torni sui suoi passi in merito alla delibera mai attuata ed emanata il 5 agosto del 2011. Il capo della Myrmex, Gian Luca Calvi si trova da un paio di giorni a Catania. Ha un’agenda fitta d’impegni, ma ci tiene a trovare del tempo per raccontarci quanto starebbe avvenendo dietro le quinte per cercare di salvare il salvabile.

E smentisce che il centro sia già in vendita. “Non siamo fermi, – dice – ma sto personalmente lavorando. Speriamo di sfruttare il periodo della mobilità per tentare di trovare delle soluzioni per recuperare buona parte dei lavoratori. Sia ieri che oggi ho avuto alcuni incontri in sede istituzionale per avviare un nuovo importante progetto, visto che quello iniziale è naufragato. Da parte mia c’è la volontà pervicace di trovare una soluzione”. Nella giornata di ieri ci sarebbe già stato un incontro con l’assessore regionale alle Attività Produttive, Maria Lo Bello. Ma sul progetto che potenzialmente potrebbe salvare il Centro di Ricerca, Calvi al momento mantiene il massimo riserbo. “Sto cercando delle soluzioni perché il laboratorio possa andare avanti sviluppando attività in sinergia con altri soggetti. Non posso dire altro al momento”.

Di recente il tavolo della vertenza è stato spostato sul piano nazionale al Ministero per la Attività produttive. Ma anche qui tutto sembra essersi arenato. I tentativi di contrattazione per un’eventuale compravendita dell’azienda, al fine di salvare i posti di lavoro, sarebbero falliti. Mai nessun imprenditore risultò essere interessato all’acquisto e al rilancio di Myrmex. Lei stesso in una precedente intervista affermò di avere ricevuto pressioni da parte delle forze politiche e sociali perché mettesse in vendita il Centro. Si parlò di una cordata araba. Perché rimasero solo chiacchiere?

“Su questo potreste aiutarmi voi. Attraverso vari passaggi si presentò una società con sede negli Emirati. A rappresentare gli interessi di tale società per Catania c’era l’avvocato e professore Bruno Caruso poi diventato assessore regionale Lavoro. L’attività dell’azienda araba era stata preceduta da dichiarazioni convergenti da parte di forze politiche e sociali locali. Più semplicemente, ci fu una lettera inviata dal direttore di Confindustria Catania alla Myrmex con cui si raccomandava di prendere in considerazione la proposta dell’avvocato Caruso quale persona seria e affidabile. Io fui fortemente stupito e perplesso anche perché non era mia intenzione cedere a questo investitore arabo. Ma l’idea era caldeggiata anche dall’ex assessore regionale alle Attività Produttive Linda Vancheri, la quale ha, però, puntualmente disdetto ogni riunione fissata con il sottoscritto che giungeva appositamente da Milano nel tentativo di trovare soluzioni. Ma poi tutto si è fermato”.

Viene naturale chiedersi, avvocato: come mai lei non ha provato prima a trovare personalmente delle soluzioni? “Quando si ha un bene – dice – occorre renderlo il più appetibile possibile per poterlo proporre al mercato”. L’imprenditore ribadisce di non essere mai stato orientato verso una eventuale vendita del Centro. “In quel momento – spiega – non c’erano le condizioni perché una compravendita potesse avere successo: mancava una capacità progettuale aziendale. Occorreva partire con una ristrutturazione dall’interno”.

Tutto inizia intorno al 2010 quando il colosso farmaceutico Wyeth-Pfizer nel tentativo di far fronte a nuove e improvvise esigenze di riorganizzazione aziendale – derivanti da una crisi del mercato del farmaco – decise di dismettere il laboratorio catanese. Lì ebbe inizio il primo frangente di apprensione per i lavoratori. Ma la situazione si risolse grazie all’impegno della Pfizer ma ancor più della Regione Siciliana. SI trattava di un’operazione che in casi simili ebbe ottimi esiti. Ma per Catania tutto andò diversamente.

Ad acquisire il centro ceduto dalla Pfizer fu la Myrmex, la sua società milanese. Venne varata la famosa delibera volta a mantenere inalterato il livello occupazionale del Centro. Con tale provvedimento la Regione sottoscriveva, inoltre, un presunto accordo di programma di circa 20 milioni di euro finalizzato a incrementare la crescita del centro per i prossimi anni. Ovvero presupposti, tutti disattesi, ma sorti in ragione e a sostegno della realizzazione del centro di ricerca tossicologica catanese.

“La delibera – prosegue – risale al momento dell’acquisto del centro e venne emanata a fronte di un progetto presentato che prevedeva la realizzazione di una Cell Factory nel sud Italia. La Regione avrebbe predisposto dei finanziamenti. Ma la delibera non è mai stata rispettata. Nel frattempo la Myrmex aveva già ottemperato all’obbligo di salvaguardare il livello occupazionale. Lei consideri che più o meno la piena occupazione è costata fra manodopera, gestione e manutenzione dello stabilimento circa 500 mila euro mensili. La mancata attuazione della delibera, mese dopo mese, ha comportato conseguenze serie per la società. Io non attribuisco colpe o né giudico perché sono concentrato a trovare soluzioni. Può anche darsi che io abbia responsabilità, ma non è il mio lavoro”.

Calvi, inoltre, rivendicherebbe la credibilità del business plan presentato alla Regione. “Sulla scorta di quel piano industriale la Regione assunse la delibera. Evidentemente il piano c’era e io ci avevo creduto moltissimo. In Italia ci sono pochissime Cell Factory, e al sud praticamente nessuna. Ritenevo che avviarne una a Catania aprisse ad enormi spazi d’interessi. La Cell Factory di Catania era volta anche a condurre studi sulla rigenerazione della cartilagine del ginocchio. Un prodotto che entrava direttamente nel nostro Core business. Le dirò di più: il progetto era corroborato da una lettera d’intenti da parte di una società operante in Germania, oggi leader in Europa nella ricerca sulla rigenerazione della cartilagine. Con loro avevamo già predisposto un accordo: l’idea era quella di creare un secondo polo in sud Italia in questo campo. E al contempo portare avanti la ricerca nel campo preclinico. Ma questo progetto ha avuto le gambe tagliate”.

Ma il secondo tentativo sfumato di salvare il Centro risalirebbe alla fine 2013, con la mancata attivazione dell’accordo di programma. “Non c’entrava nulla con la delibera. – dice – Si presentò un bando per un accordo di programma al quale partecipiamo. Il bando era molto articolato e richiedeva requisiti completamente differenti da quelli contenuti nel piano industriale iniziale di due anni prima. Abbiamo dovuto pertanto rimodularlo. Ma la Regione non capisco perché poi non ci abbia finanziati”.

Senza contare che i lavoratori nel corso di questi anni avrebbero sempre affermato di non avere mai lavorato un solo giorno. Di essere stati pagati per non fare praticamente nulla. Una situazione di per sé anomala che, secondo l’imprenditore, sarebbe stata causata ancora una volta dalla mancata attuazione della delibera. E arriva un’ammissione da parte di Calvi. “Nel corso di questi anni abbiamo lavorato in misura decisamente inferiore alle potenzialità del centro. Pocanzi le dicevo che i 500 mila euro di spese ogni mese rappresentavamo un costo enorme per l’azienda. La ristrutturazione e la realizzazione del progetto avrebbe dovuto partire nell’immediatezza. Ma dare corso ad una veloce conversione industriale non era facile”. Il laboratorio, al momento della cessione, era infatti, funzionale alla stessa Pfizer, dunque non presente nel mercato. Struttura che Calvi ha comunque acquisito con un corrispettivo di un euro. “L’ho acquisito a quel prezzo – afferma – proprio perché la Pfizer mi riconosceva queste difficoltà iniziali di gestione. Le poche commesse che avevamo non richiedevano la piena utilizzazione del personale. Il lavoro non c’era, ma io ho rispettato gli accordi previsti dal patto di stabilità”.

L’acquisizione del laboratorio comprendeva anche tutti i progetti di ricerca finanziati dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e svolti in collaborazione con importanti enti pubblici. L’imprenditore conferma di avere attinto a risorse pari a 3 milioni di euro. Ma precisa: “Non sono finanziamenti, ma corrispettivi. Nel contratto di cessione fra Pfizer e Myrmex è previsto che il 60% delle attività rendicontate venga pagato agli enti privati. Io per avere la somma 3 milioni ne ho rendicontati cinque. Ho avuto queste somme in parte sulla scorta delle rendicontazioni documentate e in parte per quelle future e sulle attività precedenti svolte dalla Wyeth-Pfizer. Ci sono ancora diverse partite aperte con il Miur. In ogni caso, se tra somme corrisposte e acconti pagati si è andati al di sopra di quanto dovuto una parte della somma andrà restituita. Ma faccio presente che la somma percepita è stata assistita da una fideiussione a favore del MIUR. Quindi qualora siano state erogate somme in eccedenza il ministero ha diritto a reclamarle”. Calvi conclude, infine, evidenziando che in tutta l’operazione finanziaria la Myrmex ci avrebbe rimesso di tasca propria. “Direi proprio di sì. Ho comprato il laboratorio a un euro ma l’impegno è costata alla Myrmex cirxca 12 milioni. E il tutto è documentabile”.


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