Palermo, le elezioni e quel monito di Maria Falcone - Live Sicilia

Palermo, le elezioni e quel monito di Maria Falcone

Il principio di legalità e il rispetto per le istituzioni. Gli elettori dovrebbero tenerne conto

“Chi si candida a ricoprire una carica importante come quella di sindaco e qualsiasi altra carica elettiva deve esplicitamente prendere le distanze da personaggi condannati per collusioni mafiose”. Sono parole di Maria Falcone, sorella di Giovanni ucciso 30 anni fa insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Davvero singolare, anzi, drammatico doverlo ribadire dopo il troppo sangue versato da magistrati, poliziotti, sacerdoti, imprenditori, politici, giornalisti per mano di boss assassini e dei loro complici in giacca e cravatta. Eppure è così, e ha fatto bene Maria Falcone a scandire con determinazione un concetto che ormai dovrebbe costituire un patrimonio condiviso, un’evidenza diffusa tra i comuni cittadini e, soprattutto, nei piani alti dei palazzi del potere; potere, sia chiaro, non soltanto politico.

Sappiamo qual è stata la ragione scatenante della dichiarazione della Falcone, l’intervento durissimo, e aggiungo comprensibilissimo, di Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, secondo il quale la Sicilia a 30 anni dalle stragi (Capaci e via D’Amelio) è in mano ai condannati di mafia, un riferimento quasi esplicito a Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, entrambi condannati per reati di mafia, che sostengono la candidatura a sindaco di Palermo di Roberto Lagalla.

Da qui una serie di interventi dei protagonisti coinvolti e le immancabili polemiche politiche. In ultimo, a proposito di polemiche, il “vivace” scambio di accuse tra Claudio Fava e Nello Musumeci su un incontro di quest’ultimo con Dell’Utri, pare per chiedere l’intervento di Berlusconi al fine di rafforzare la sua ricandidatura alla presidenza della Regione Siciliana. Per Fava, Musumeci non dovrebbe nemmeno avvicinarsi alle manifestazioni commemorative delle stragi del ’92.

Adesso, piuttosto, ci interessa sottolineare un convincimento che dovremmo possedere tutti i siciliani onesti. È ovvio che Dell’Utri e Cuffaro sono liberi, scontata la pena, di muoversi come desiderano, compreso occuparsi di politica; il “punctum dolens” è un altro, e qui hanno ragione da vendere Falcone, Morvillo e Fava: chi si candida a una qualunque carica istituzionale non solo non deve ricercare la mediazione di condannati per reati di mafia, pure se nel frattempo sono diventati monaci trappisti, ma nemmeno devono accettarne l’aiuto sia pure passivamente.

Il motivo è molto semplice, di infantile semplicità: in una terra in cui sono morti massacrati decine e decine di eroi normali e nella quale, ahinoi, la mafia non è stata ancora definitivamente sconfitta occorre dare, specialmente ai giovani, un messaggio inequivocabile circa la lotta senza quartiere a Cosa Nostra, alle zone grigie di connivenza e alle collusioni con essa. Ciò significa anche, ci riferiamo particolarmente a chi ha o intende avere ruoli istituzionali, marcare le distanze con chiunque abbia avuto consapevoli (imperdonabili) contatti di qualsiasi genere con questa malefica organizzazione criminale. L’aspetto giuridico sugli indiscutibili diritti individuali di chi ha pagato il suo debito con la società non c’entra nulla, c’entra l’opportunità.

E non è cattiveria o una forma di “arroganza etica”, no, è unicamente affermare il principio di legalità, l’assoluto rispetto nei confronti delle istituzioni, rispetto spesso gravemente violato proprio da rappresentanti delle istituzioni di ogni ordine e grado, come ci raccontano migliaia e migliaia di atti processuali, e la necessaria trasparenza che deve contraddistinguere le campagne elettorali. Gli elettori dovrebbero tenerne conto al momento del voto.


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