Lucia Borsellino: "Su mio padre la verità della menzogna e silenzi" - Live Sicilia

Lucia Borsellino: “Su mio padre la verità della menzogna e silenzi”

La figlia del magistrato in Commissione antimafia
STRAGE DI VIA D'AMELIO
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PALERMO – “È la verità della menzogna” quella che è stata consegnata ai parenti e all’Italia intera. Lucia Borsellino ha ribadito concetti già espressi in passato, ma le sue parole provocano sempre sgomento. La figlia del magistrato ucciso dalla mafia nella strage del 19 luglio 1992 è stata sentita in Commissione nazionale antimafia.

Il depistaggio

“Non abbiamo trovato altre frasi per appellare il depistaggio consumato sulla strage di via D’Amelio“, ha detto. “Nonostante tutto – ha sottolineato – il nostro rispetto e la nostra fiducia nei confronti della magistratura, degli apparati investigativi e delle istituzioni nel loro complesso è stata massima e non è mai venuta meno. Noi siamo cresciuti a pane e istituzioni, siamo figli e nipoti di un magistrato“. Fiducia ricambiata con il “buio istituzionale”, i “silenzi” e i tanti “non ricordo” dei magistrati.

“La magistratura è stata la nostra casa e non potevamo venire meno al principio che ha guidato la nostra vita, ma dopo 31 anni di riserbo non possiamo vederci negato il diritto di porci e di porre domande – ha detto Borsellino come riporta l’agenzia Dire -. Qualunque ricostruzione dei fatti non può prescindere da riscontri e testimonianze documentali raccolti con assoluto rigore metodologico: è passato troppo tempo da quella strage, per cui non siamo più disposti ad accettare verità che non rispondano a questo rigore”.

“Ostacoli insormontabili”

Traspare tante amarezza dalle sue parole: “Una ricostruzione anche solo sul piano storico delle vicende che hanno caratterizzato prima e dopo la strage di via D’Amelio sconta degli ostacoli che, a nostro avviso, per il tempo trascorso sono divenuti ormai insormontabili. Spero di essere smentita in questo”. Lucia Borsellino ha elencato gli ostacoli: “Il primo è il buio istituzionale che avvolge la vicenda della sottrazione dell’agenda rossa dalla borsa che mio padre aveva con sé il giorno della strage. Sottrazione della quale, naturalmente, risentono le indagini perché sarebbe stata una fonte inoppugnabile di informazioni che ci avrebbe consentito di avere tutti i tasselli mancanti di questa storia”.

“Silenzio e non ricordo”

Ed ancora: “Il silenzio e i ‘non ricordo’ di molti uomini delle istituzioni che non ci hanno consentito di risalire ai veri responsabili del depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Questi silenzi non hanno aiutato gli apparati investigativi che lavoravano sulla strage a risalire alla verità, ai responsabili del depistaggio stesso, ai mandanti occulti e ai responsabili morali della strage”.

Non è tutto perché ci sono dei buchi investigativi che restano, nella meno tragica delle ipotesi, incomprensibili: “Non ci è dato sapere come mai non fu fatto, nell’immediato della strage, l’esame del Dna sulla borsa di mio padre, visto che l’esplosione non l’aveva distrutta. Mi risulta che per la strage di Capaci questo esame venne fatto. Dopo venti anni, però, la nostra famiglia fu sottoposta a un prelievo salivare per eseguire un esame che dopo tutto quel tempo era assolutamente inattendibile. Ad ogni modo – ha concluso – non abbiamo avuto neanche l’esito”.

“Minacce dopo la strage”

Rispondendo a una domanda della presidente della commissione, Chiara Colosimo, Lucia Borsellino ha raccontato delle minacce ricevute dalla sua famiglia anche dopo la strage: “Mio padre ci teneva spesso all’oscuro della lettura di queste minacce, alcune delle quali sono arrivate anche a casa, ma sicuramente, nel modo scherzoso come lui sapeva fare, ce ne rendeva edotti. Noi avevamo rifiutato di vedere la nostra vita blindata. La scorta proteggeva papà, mentre noi la maggior parte delle volte camminavamo da soli, ma lui riteneva giusto che fossimo pienamente consapevoli che i rischi che potevamo correre da adolescenti non erano gli stessi dei nostri coetanei”. Ricevettero lettere “con delle croci segnate con il carbone”, che “fu consegnata alla Procura ma, trattandosi di anonimi, potevano anche essere anche dei mitomani”.

“Mio padre aveva paura”

Infine un ricordo intimo, accompagnato dalla grande commozione: “Il periodo del soggiorno all’Asinara, che ci vide coinvolti con la famiglia di Giovanni Falcone, fu uno dei pochi momenti in cui abbiamo sentito lo Stato vicino. Un’esperienza traumatica, perché la prima volta fummo prelevati da casa e portati in una località segreta. Quando si è cominciato ad avvertire fortemente il rischio per la vita di papà, fummo noi a dirgli, con grande consapevolezza, che era arrivato forse il momento di chiedere di andare via da Palermo, anche per un certo periodo, visto che nessuno ce lo diceva. Lui ci disse che avrebbe accettato purché gli avessero consentito di portare con sé anche la madre, mia nonna. Da quella frase ho capito che mio padre aveva anche paura. Non è vero che non avesse paura, era un uomo come gli altri e accanto al coraggio aveva anche la normale paura del distacco dai propri cari”.


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