Palermo, l'ambasciata del boss Salvatore Lo Piccolo dal 41 bis

“Mi ha mandato a dire”: l’ambasciata del boss Lo Piccolo dal 41 bis

Due donne e un misterioso uomo anelli della rete di comunicazione

PALERMO – Era arrivata un’ambasciata. Il contenuto era criptico, ma bisognava decifrarlo in fretta visto lo spesso del mittente: il boss di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo.

“Totuccio il barone” è al 41 bis, da quando nei primi giorni di novembre del 2007 fu arrestato assieme al figlio Sandro in una villetta a Giardinello. Finiva la latitanza del capomafia che si era messo in testa, e in parte c’era riuscito, di comandare l’intera Cosa Nostra palermitana. Oggi ha 82 anni e sta scontando l’ergastolo al carcere duro nel penitenziario di Parma.

Eppure a giudicare dalle parole intercettate dai carabinieri del Nucleo investigativo nell’ultima inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci, Andrea Fusco e Felice De Benedittis, Lo Piccolo avrebbe trovato il modo di trasmettere ordini all’esterno.

Si alza l’asticella della permeabilità del sistema carcerario. Le indagini hanno scoperto della falle enormi nel circuito dell’Alta sicurezza. “È in mano alla criminalità”, hanno detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e quello di Palermo, Maurizio de Lucia, alla conferenza stampa del blitz con 181 arresti. Il 41 bis dovrebbe garantire il pieno controllo delle comunicazioni.

Nel maggio 2023 l’ambasciata sarebbe arrivata tramite una donna a Giovanni Cusimano, mafioso settantenne di Partanna Mondello: “… già mi ha mandato un’ambasciata, però non ho capito un cazzo, mi ha mandato a dire…”. C’era un riferimento al “pesciaiolo (il pescivendolo ndr) di Pallavicino… dice sono a posto”.

Non era un reale venditore di pesce, ma un membro dell’associazione che aveva ricevuto il messaggio dalla donna con il compito di girarlo a Cusimano. Analogo riferimento faceva Francesco Stagno, arrestato nel blitz con l’accusa di essere il braccio destro di Domenico Serio, fratello di Nunzio, il reggente di San Lorenzo. Il ritorno in libertà di alcuni “pescatori” stava permettendo la riorganizzazione della famiglia mafiosa. Molte persone erano intenzionate a salire sulla loro “barca”. Altri mafiosi che non si stavano accodando ai “pescatori” stavano “affondando”.

Cusimano forniva alcuni dettagli sulla donna. Si trovava agli arresti domiciliari, aveva tutti i parenti detenuti a eccezione di un figlio emigrato in America, il marito si chiamava Totuccio. Da qui la presunta identificazione in Rosalia Di Trapani, moglie di Salvatore Lo Piccolo. I figli Sandro e Calogero sono detenuti come il padre, mentre un terzo figlio, Claudio, si trova negli Stati Uniti.

Cusimano aggiungeva anche un ulteriore riferimento a Di Trapani, che ha scontato una condannata per una estorsione commessa nel 2006. La moglie di Lo Piccolo era entrata in contatto in una struttura sanitaria con una vicina di casa di Cusimano. Potrebbe essere stato poi il figlio della donna a veicolare l’ambasciata a Cusimano chiudendo il cerchio della comunicazione riservata.

Su cosa c’era urgenza di parlare? Il protagonismo dei Lo Piccolo non si è certo fermato con l’arresto del capomafia e dei figli. Prima che arrestassero Bernardo Provenzano, nel 2006 a Corleone, si registrò una profonda frattura “il barone” e Nino Rotolo, boss di Pagliarelli. Erano pronti alla guerra. Il primo voleva il rientro degli scappati in America per sfuggire alla mattanza corleonese degli anni Ottanta. Il secondo si opponeva con tutte le proprie forze al progetto. Toccò a Provenzano trovare una mediazione per evitare la guerra.

La riunione della cupola che si tenne nel 2018 in una palazzina a Baida mise in chiaro che l’aveva spuntata la linea di Lo Piccolo. A farla valere intervenne Calogero Lo Piccolo. Il garante della pace era Settimo Mineo, anziano capomafia di Pagliarelli. In quella sede si decise anche chi avrebbe dovuto prendere in mano il potere in caso di arresti.

Due esempi: il posto di Calogero Lo Piccolo fu preso da Francesco Palumeri (che scalzò Giulio Caporrimo) e quello di Leandro Greco, giovane ma influente capomafia di Ciaculli, dal cugino Giuseppe Greco, detto il senatore. La riunione cementò il blocco di potere dell’ala che faceva e fa capo ai Lo Piccolo.

Nel maggio 2020 Salvo Genova, boss di Resuttana e alleato dei Lo Piccolo, incontrò Giuseppe Greco. Nel novembre successivo si riunì con Michele Micalizzi, capo della famiglia di Tommaso Natale e genero di don Saro Riccobono, di cui Salvatore Lo Piccolo è stata autista all’inizio della carriera criminale. I loro nomi si incrociarono anche nell’inchiesta e nei processi che svelarono la verità sulla scomparsa, nel 1979, dell’agente della polizia penitenziaria Calogero Di Bona. Gli riservarono una fine atroce. Strangolato e bruciato dentro un forno.

Qualche giorno dopo la scomparsa di Di Bona in Procura giunse un esposto firmato da un gruppo di agenti di polizia penitenziaria che descrivono un carcere dove i mafiosi fanno i loro comodi. Protetti dalla compiacenza di alcuni agenti. Micalizzi avrebbe pestato un agente in carcere. Un fatto gravissimo per il quale non venne stato stilato neppure un rapporto. Fu aperta un’inchiesta, chiusa con l’archiviazione.

Nel 1994 il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo ricostruì l’agghiacciante vicenda. Lo Piccolo fermò Di Bona in un bar ristorante nella piazza di Sferracavallo. Lo condusse con un pretesto in campagna da Salvatore Liga. Lì c’era Saro Riccobono che chiese a Di Bona notizie sulla situazione carceraria ed in particolare sugli autori delle lettere anonime con le quali si insultavano i mafiosi”.

Poi, “gli si pose una corda al collo”. Gaetano Grado ha concluso il racconto dell’orrore: “Quando l’indomani a noi andiamo allo Zen mi hanno raccontato solo che era tutto apposto e che il lavoro fatto da Tatuneddu Liga… quando c’era di bisogno di strangolare qualche persona… diciamo che quasi quasi si facevano sempre da Tatuneddu Liga, perché poi lui gli scioglieva nell’acido .. omissis… mi hanno detto che l’hanno messo dentro il forno di Tatuneddu Liga, il forno, un forno dov’è che si .. lui faceva il pane…”.

Le inchieste della Dda hanno via via tracciato le figure di altri boss. Come Giancarlo Seidita, reggente del mandamento Noce-Cruillas, e Pietro Tumminia della famiglia mafiosa di Altarello. Sono altri due fedelissimi di Salvatore Lo Piccolo. Così come lo è il detenuto Nunzio Serio, che è stato reggente del mandamento di Tommaso Natale. Di lui si, e del fratello Domenico, si è tornato a parlare nell’ultimo blitz fra riunioni mafiose in videochiamata e cellulari a disposizione il carcere. L’onda lunga del potere dell’ala di lo Piccolo non si è ancora fermata.


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