Pane, pasta e... mafia| I boss nella grande distribuzione - Live Sicilia

Pane, pasta e… mafia| I boss nella grande distribuzione

Foto d'archivio

Il caso Lidl, scoperto dai pm di Milano, è l'ultima spia degli interessi economici dei clan.

PALERMO – Riciclare i soldi sporchi. Trasformare la grande distribuzione in una mega lavanderia dei soldi di Cosa nostra. Un tema da anni al centro delle indagini e ora riproposto con forza dal blitz della Procura di Milano. Il clan catanese dei Laudani avrebbe fatto il salto di qualità spingendosi fin dentro il colosso Lidl. I boss sarebbero riusciti a mettere le mani sulla ristrutturazione di decine di punti vendita, grazie all’appoggio di due insospettabili imprenditori milanesi. La cronaca giudiziaria è piena di piccoli imprenditori che hanno iniziato aprendo una bottega e si sono ritrovati alla guida di imperi commerciali. Una scalata vertiginosa resa possibile, secondo gli investigatori, dai rapporti con Cosa nostra. Perché ad un certo punto la mafia avrebbe avuto l’intuizione delle intuizioni. Ripulire i soldi sporchi comprando pane e pasta e riempiendo gli scaffali della grande distribuzione.

Era stato l’obiettivo centrato da Giuseppe Grigoli, l’uomo del marchio Despar nella Sicilia occidentale. Lui sì che può essere definito imprenditore-mafioso per via di una sentenza ormai definitiva che lo piazza al fianco di Matteo Messina Denaro. Il superlatitante si sarebbe mosso in prima persona, comunicando con la sorella Patrizia, per salvargli la pelle quando si era sparsa la voce che Grigoli stesse per pentirsi. C’era un legame solido fra i due, tanto che Messina Denaro lo chiamava confidenzialmente “il paesano mio” nei pizzini inviati a Provenzano per mettere a tacere un contrasto con i Capizzi: “Se il signore di Ribera, con i tempi che corrono, avesse fatto ciò a chicchessia, a quest’ora sarebbe già in carcere perché chiunque sarebbe corso alla caserma a denunciarlo. Solo che ha capito che il mio paesano non ci andava alla caserma, lo ha capito sia per il comportamento del mio paesano sia perché faceva il mio nome a lui, per cercare di non cedere alle richieste incessanti”.

Altro partner di peso era quello scelto Giovan Battista Giacalone in affari con Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo. Giacalone era diventato il re di una catena di hard discount sotto l’insegna Mio. Condannato per mafia, ha finito di scontare la pena. A Palermo lavorava anche Paolo Sgroi, oggi deceduto, a cui sequestrarono una catena di supermercati con il marchio Sisa. Ancora una volta c’era la presenza ingombrante di Salvatore Lo Piccolo. In un pizzino a sua firma, trovato nel covo di Bernardo Provenzano, a Montagna dei Cavalli, il boss di San Lorenzo spiegava che si sarebbe attivato per trovare un lavoro a un parente del padrino nei supermercati di Sgroi.

Per lui Lo Piccolo si spendeva pure con i Pipitone di Carini: “Con il nostro amico Sgroi – scriveva – mi devi fare questo favore, di controllare i pagamenti”. A Carini aveva aperto uno dei suoi tanti punti vendita l’imprenditore Giuseppe Ferdico. Sua era stata l’idea di distribuire in larga scala detersivi e prodotti per la casa. Nei mesi scorsi è scattata la confisca. Ferdico è stato assolto dall’accusa di essere un mafioso, ma gli sono stati confiscati i beni perché le sue aziende sarebbero state “spinte” dal denaro dei clan mafiosi. Una montagna di soldi che gli avrebbe consentito di diventare leader del mercato, acquistando a prezzi vantaggiosi, vista la mole degli ordinativi, e rivendendo a prezzi imbattibili.

Da Palermo a Catania dove la scure della confisca si è abbattuta su Nello Scuto, fondatore del colosso Aligrup. Nei mesi scorsi la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 8 anni. Il processo è da rifare, ma la parallela indagine patrimoniale ha fatto il suo corso, descrivendone il presunto rapporti con i mafiosi. Ed è arrivata la confisca.

 

 


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