PALERMO – L’ammanco contabile c’è, ma non c’è un colpevole. Si può riassumere così l’esito del processo che si è chiuso con l’assoluzione di Giuseppe Sanfilippo, ragioniere e amministratore giudiziario.
Era imputato con l’accusa di peculato, ma il giudice per l’udienza preliminare Michele Guarnotta lo ha mandato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”. Lo stesso pubblico ministero Andrea Zoppi aveva chiesto l’assoluzione.
A denunciare Sanfilippo era stato Filippo Giarrusso, titolare della “Gieffe Pneumatici”. Si tratta di un’impresa prima sequestrata dal Tribunale per le Misure di prevenzione e poi restituita all’imprenditore insieme ad altri beni al termine di una vicenda giudiziaria lunga dieci anni. Giarrusso è stato assolto definitivamente dall’accusa che dietro la sua attività ci fossero i boss Graviano di Brancaccio.
Il processo penale riguardava un ammanco di poco inferiore ai diecimila euro. Tutto ruotava attorno alla doppia registrazione della somma riconducibile alla voce “crediti sospesi” e ad un seguente storno di cassa.
Il difensore di Sanfilippo, l’avvocato Vincenzo Lo Re, ha osservato che lo stesso consulente del pm “non ha escluso in modo assoluto che le differenze del saldo di cassa siano da attribuire ad errori contabili e non ad episodi distrattivi”. Inoltre Filippo Giarrusso “era stato autorizzato a collaborare con l’amministrazione giudiziaria sino a maggio 2007 ed allo stesso erano stati sequestrati assegni di alcuni clienti. Pertanto la polizia giudiziaria delegata alle indagini nel relativo procedimento che si è concluso con sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti di Filippo Giarrusso osserva che la reale gestione della Gieffe nel periodo in cui è stato operato il sequestro degli assegni – maggio 2007- era curata dal Giarrusso Filippo ed i relativi proventi erano incassati dallo stesso e non dall’amministrazione giudiziaria, come disposto dall’autorità giudiziaria”.
La Procura, già in fase di indagini preliminari, aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine. In sostanza, si diceva, che era stata riscontrata “una promiscuità gestionale” e una “negligenza contabile”. Non c’era però la prova che Sanfilippo si fosse messo in tasca dei soldi, visto che anche altre persone erano addette alle operazioni di cassa.
Chiuso il processo penale di primo grado, resta in piedi quello civile. Qui la cifra contestata da Giarrusso supera i 110 mila euro. I giudici di appello, in via cautelare, hanno nel frattempo bloccato beni di Sanfillippo per la metà della cifra.