PALERMO – Otto anni e quattro mesi per Giovanni De Santis, sette anni e quattro mesi a Umberto Centineo, sette anni per Francesco Pitarresi. Assolto Pietro Flamia. Ecco l’esito del processo “Bucatino” che si è celebrato davanti alla terza sezione del Tribunale, presieduta da Fabrizio La Cascia. Le condanne di oggi si aggiungono a quelle già inflitte in abbreviato a Maurizio De Santis, padre di Giovanni, Francesco Centineo e Francesco Licandri, mentre era stata assolta Rita Salerno, moglie di Maurizio e madre di Giovanni De Santis.
Il processo si basava sulla ricostruzione dei carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, che ha retto al vaglio del Tribunale. Si tratta dei magistrati che indagano sul mandamento mafioso di Porta Nuova. Perché è nel contesto mafioso che affonderebbe le radici l’inchiesta sfociata prima negli arresti e ora nella condanna.
Nel maggio del 2012, Tiziana Carla Binaghi e Aurelio D’Amico (parte civile al processo, assistiti dagli avvocati Valerio D’Antoni e Salvatore Forello, hanno ottenuto una provvisionale di due mila euro ciascuno; il danno sarà quantificato in un altro procedimento), titolari della “2D Logistica srl”, un’impresa di trasporti di Termini Imerese, subiscono il furto di un rimorchio carico di elettrodomestici. Bottino: 168.000 euro. Dal mezzo pesante è sparito pure il sistema satellitare, circostanza che fa venire meno la copertura assicurativa. I due imprenditori piombano nello sconforto. Una sera sono seduti al tavolo del Bucatino, un locale che frequentano abitualmente. E si confidano con i titolari. A quel punto Maurizio De Santis si candida per risolvere la faccenda, vantando la sua vicinanza con la famiglia mafiosa di Palermo Centro. Si dice disposto a recuperare la refurtiva ma chiede, per evitare guai futuri, il pagamento di 15.000 euro a Natale e 1.500 euro al mese a partire da gennaio 2013. Per i carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo si tratterebbe di un’estorsione in piena regola. Anche perché De Santis avrebbe speso il nome di un’altra persona a lui vicina, e cioè Alessandro D’Ambrogio, allora reggente del mandamento di Porta Nuova.
Gli imprenditori accettano la proposta. E pagano i 15 mila euro in tre rate. Non solo, hanno pure il sospetto che dietro il furto ci sia la mano di due dipendenti. I De Santis, padre e figlio, in compagnia di altre due persone, si presentano nella sede della ditta. Si sarebbe trattato di una spedizione punitiva in piena regola. I due dipendenti raccontano di essere stati chiusi in una stanza, minacciati e picchiati. Gli avrebbero pure stretto un laccio attorno al collo, facendo intendere di essere pronti a strangolarli. Per la storia del pestaggio i De Santis, nel dicembre 2012, finiscono in cella assieme agli stessi titolari dell’impresa. Dopo la loro scarcerazione sarebbe iniziata la seconda fase della storia. I titolari del Bucatino, avrebbero iniziato a fare pressioni sugli imprenditori. Pretendevano 200 mila euro per il carcere patito. Le vittime accettano di pagare, ma chiedono una dilazione. Sono pronti a versare subito 7 mila euro. A luglio vengono convocati in un bar di Bagheria alla presenza, oltre che dei De Santis, di Pietro Flamia (oggi però assolto, era difeso dall’avvocato Lia Zarcone) e di una decina di picciotti. Ed è lì che Giovanni De Santis, aprendo il giubbotto, avrebbe mostrato di possedere una pistola. Agli imprenditori viene pure rubata una macchina. Sono sconvolti e decidono di lasciare la Sicilia per un po’. A settembre rientrano e ricevono la visita di Umberto Centineo. Quest’ultimo è il padre di Francesco Centineo. E proprio dal carcere, dice, sarebbe arrivato l’ordine del figlio di mettere le cose a posto. A una condizione: assumere Centineo padre e un altro figlio come autisti. Cosa che sarebbe realmente accaduta.
Qualche giorno dopo l’assunzione, Centineo rinnova la richiesta di denaro: i De Santis pretendono 32 mila euro. Gli imprenditori si ribellano e si dicono pronti a denunciare tutto. A quel punto Centineo li convince a seguirlo nella sede di un’impresa di pulizie di Corso dei Mille. Dove ad attenderli trovano Francesco Licandri. Anche da lui arrivano minacce di morte. Gli imprenditori a quel punto svendono un camion e consegnano 30 mila euro. Troppo pochi secondo Licandri. Le due vittime capiscono allora di non avere altra strada che la denuncia.