Prima i siciliani, non nel senso del remake di uno slogan risaputo. Semmai, come invocazione accorata al cospetto dell’indifferenza. Prima i siciliani – diversamente scriviamo – rispetto ai giochini della politica, ai franchi tiratori, agli appetiti, alle richieste, a un certo apparato che combatte la sua battaglia, dimenticando le ferite di una terra.
Non tanti, all’interno dell’Assemblea regionale, nel corso dell’ultima manovra, hanno mostrato appieno quel senso di responsabilità necessario per orientarsi verso il cosiddetto ‘bene comune’.
Idea straniera, il bene comune, nei canoni di operazioni strategiche contrassegnate dal corto respiro. Confidiamo la nostra colpevole innocenza. Crediamo nella politica effettivamente al servizio della collettività e ci dichiariamo, dunque, innocentemente colpevoli.
Una ‘maggioranza fragile’, secondo la definizione di Cateno De Luca, attraversata da veleni e lotte di potere, bersagliata dai franchi tiratori, ha trovato sulla sua strada una opposizione, per una volta, decisa alla lotta senza quartiere, a ogni costo.
Ne è venuta fuori una rappresentazione, nei giorni dell’Aula, a tratti surreale: quasi tutte le nobilissime retoriche, improntate alla difesa della Sicilia, dei siciliani e delle loro prerogative, nascondevano altre dinamiche.
Il presidente Schifani può rivendicare il fatto di avere condotto in porto la manovrina. Tuttavia, le difficoltà sono evidenti. Questa fase ostica va superata, recuperando una visione complessiva e affrontando i problemi, con le sacrosante divergenze, alla luce del sole.
La politica, di qualunque segno, prontissima a spendersi in parole, non sempre con le opere, spesso con le omissioni, lo ricordi: prima i siciliani. L’invocazione per una terra ferita sia un monito di decenza. Il resto conta relativamente.
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