PALERMO – Il primo atto del governo Musumeci, a pochi minuti dall’insediamento, è l’inizio di uno scontro col governo nazionale. Sul tavolo, la questione dell’elezione diretta dei presidenti e dei Consigli delle ex Province siciliane. Il braccio di ferro è appena iniziato, e la giunta ha deciso di tirare dritto fino alle votazioni, previste in primavera. Se non interverrà prima di allora la Corte costituzionale.
Di sicuro c’è che la legge che ha reintrodotto il suffragio universale e l’elezione diretta per gli organi dei Liberi consorzi è in vigore. Nonostante sia stata impugnata da Palazzo Chigi. Una impugnativa con la quale la presidenza del Consiglio dei ministri ha anche chiesto alla Corte costituzionale di sospendere gli effetti della legge regionale. Sospensiva che non è ancora arrivata. E quindi, appunto, la legge è ancora in piedi.
Così, viste anche le decisioni della prima giunta di Musumeci, si va verso le elezioni, previste in primavera, in coincidenza con le prossime elezioni amministrative. Chiamata alle urne che potrebbe essere vicina, adesso. Il periodo fissato dalla legge per le elezioni, infatti, è quello compreso tra il 15 aprile e il 30 giugno. Nello stesso periodo in cui potrebbero svolgersi anche le elezioni politiche.
Uno scontro istituzionale, insomma. Che il governatore Musumeci ha descritto come il tentativo di far valere la potestà dello Statuto speciale. E in effetti, la Regione ha competenza esclusiva in tema di enti locali. Ma nella sua impugnativa, Palazzo Chigi afferma che anche le Regioni a statuto speciale debbano adeguarsi alla cosiddetta “legge Delrio”. Questo perché la riforma nazionale delle Province è una norma considerata una riforma “economico-sociale della Repubblica”. Un intervento legislativo quindi che avrebbe un impatto più ampio rispetto allo stretto ambito degli enti locali e di fronte alla quale verrebbero limitate, appunto, le competenze esclusive della Regione.
Insomma, stando così le cose, la Sicilia si prepara nuove elezioni in primavera, dopo le Regionali, non troppo distanti dalle politiche e in contemporanea con le amministrative. I presidenti dei Liberi consorzi e delle Città metropolitane potranno quindi essere eletti direttamente dai cittadini. E riceveranno anche una indennità, pari “a quella spettante al sindaco del comune capoluogo del relativo Libero consorzio comunale o della relativa città metropolitana”. Anche questa norma è stata impugnata da Roma, visto che la legge Delrio, oltre alle elezioni di “secondo livello” (amministratori già eletti eleggono a loro volta i presidenti), prevedeva anche che i presidenti (a loro volta quindi sindaci di altri Comuni) ricoprissero quell’incarico a titolo gratuito.
E insieme a quella dei presidenti, ecco anche le elezioni dei Consigli dei liberi consorzi e delle Città metropolitane. Anche qui nuovi incarichi politici frutto del voto dei cittadini. Ma in questo caso, nessuna indennità: solo rimborsi sostanzialmente equiparabili ai “gettoni di presenza” nei Consigli comunali. E le nuove poltrone (sebbene non particolarmente ricche) saranno tante: saranno 18 i nuovi componenti dei Consigli dei liberi consorzi con una popolazione inferiore a 300 mila abitanti, saranno 25 invece quelli nei consorzi con una popolazione superiore. Saranno invece 30 i componenti del Consiglio della Città metropolitana di Messina, 36 quelli di Palermo e Catania. Anche in questo caso è intervenuto Palazzo Chigi: visto che i consiglieri, oltre a essere eletti direttamente, al contrario di ciò che avviene con la “Delrio”, sono anche più numerosi di quanto previsto a livello nazionale.
Ma il governo Musumeci tira dritto. La legge è in vigore e verrà fatta valere. E se prima di allora non interverrà la Corte costituzionale, la Sicilia tornerà al voto nelle ex Province, dopo cinque anni di commissariamenti disastrosi. Dopo anni di caos normativo, fedelissimi del governatore uscente che si davano il cambio e problemi economici gravissimi. Con alcuni di questi enti che adesso si trovano a un passo dal fallimento. Ma che potrebbero aprire le porte a una classe politica rimasta scontenta dopo le elezioni. Insomma, una chance in più per i politici che non ce l’avranno fatta altrove.