CATANIA – Meno di un anno fa, al giudice che l’avrebbe condannato, scriveva: “Non sono stato in grado di allontanarmi, non ho avuto la forza di oppormi al mio ineluttabile destino”. Un predestinato, insomma, Francesco Maria Tancredi Napoli detto Ciccio, ritenuto uno degli ultimi capi della mafia catanese.
Doveva essere un boss a tutti i costi, un capo provinciale, lui che è nipote di Pippo Ferrara “u cavadduzzu” e mezzo parente dello “zio” Nitto Santapaola. Ora Napoli chiede sconti in appello, dopo che il gup Chiara Di Dio Datola gli aveva inflitto 14 anni di carcere. La Corte di Catania ha fissato l’appello per il prossimo 29 aprile.
La cattura e il blitz “Sangue blue”
Napoli è stato arrestato a settembre 2022, nel blitz che, in nome appunto di quella sua ipotetica appartenenza all’elitè, all’aristocrazia mafiosa catanese, è stato battezzato – forse anche con un pizzico di ironia, da parte degli inquirenti – “Sangue Blu”.
Il resto è cronaca giudiziaria: ha preso 14 anni e ora va in appello. È durante il giudizio abbreviato che Napoli ha scritto al Gup, lui che fino a quel momento non aveva mai ceduto, rendendo delle dichiarazioni in qualche modo clamorose. Ha detto di averlo fatto per non essere riuscito a sottrarsi a un destino inevitabile, considerato che aveva immaginato di andare via dalla Sicilia ma che era stato costretto a restare.
Il carisma del leader
Ha specificato che già da prima di essere scarcerato, negli ambienti, si sapeva che sarebbe toccato a lui reggere le sorti del clan. Quasi toccasse a lui per successione dinastica.
Una nomina scomoda che, ha scritto al giudice, avrebbe cercato di non accettare, nonostante in carcere si fosse mosso in qualche modo per dare sostegno agli affiliati, per portare avanti le loro istanze, forte anche del carisma che gli veniva riconosciuto, anche, ovviamente, per via delle sue parentele.
Quel divieto di lasciare la Sicilia
Poi però, dato che non poteva lasciare la Sicilia per un provvedimento della magistratura – e anche per via di pressioni che ha detto di aver ricevuto – aveva “dovuto” accettare, virando su una soluzione intermedia.
Lo chiamavano “uomo d’onore riservato”. Usava un altro soggetto a rappresentarlo nelle riunioni. Faceva il boss per interposta persona. Al processo, Napoli ha messo nero su bianco anche un altro punto importante, ovvero l’intenzione di recidere quel legame con il mondo della mafia.
Il ricorso e il trattamento sanzionatorio
Ha anche detto di voler prendere le distanze, di chiamarsi fuori. Sta di fatto che il Gup lo ha ritenuto colpevole. E quelle ammissioni, tardive – perché arrivate solo a processo in corso – non gli hanno fatto ottenere sconti. Ora la difesa ha presentato ricorso.
Napoli è difeso dagli avvocati Salvo Pace e Giuseppe Marletta. Il ricorso della difesa, molto articolato, impugna la sentenza di primo grado, contestando vari elementi, ma soprattutto il cosiddetto “trattamento sanzionatorio”. Se ne parlerà in appello.