Quella volta che Palermo |disse no al Guggenheim - Live Sicilia

Quella volta che Palermo |disse no al Guggenheim

La Sicilia e i beni culturali: una storia pirandelliana raccontata da chi l'ha vissuta in prima persona

Era un pomeriggio di primavera il volo Berlino Palermo viaggiava in orario, seduti accanto su quell’aereo eravamo l’allora Presidente della Provincia Regionale di Palermo Francesco Musotto ed io, entrambi in arrivo da Berlino. Io a quei tempi ero Sindaco di Terrasini e parlamentare regionale, di sinistra, Ciccio Musotto, Presidente della Provincia di Palermo, di destra . Alcuni anni prima ero ritornato dalla Columbia University di New York dove avevo terminato i miei studi e lì facevo parte dei “Friends of Solomon Guggenheim Foundation”. Avevo tanti amici all’interno della Fondazione sia a New York, sia a Venezia.

Musotto mi raccontò in aereo di aver appena visto una interessante esposizione al Guggenheim di Berlino; da parte mia inconsciamente, mi stupii che Musotto fosse andato a Berlino a vedere il Guggenheim, e non confondesse come molti altri politici siciliani, il nome Guggenheim con una marca di scarpe da tennis o con altro. Il volo arrivò a Palermo, e dopo un simpatico commiato, ci separammo.

Il giorno successivo il Presidente Musotto, mi chiese di raggiungerlo a Palazzo Comitini, mi accolse simpaticamente e, noncurante delle decine di persone che lo attendevano mi fece accomodare nella sua stanza, aprendo le persiane del suo studio, mi disse: “…vede quel palazzo di fronte? E’ Palazzo Trigona di Sant’Elia, praticamente abbandonato e quasi distrutto…da oggi è suo!….mi dica cosa occorre fare affinché, dopo averlo riportato agli antichi splendori, possa un giorno divenire sede del Guggenheim”.

Il Presidente del Guggenheim di New York, Thomas Krenz, e il direttore della Guggenheim Collection di Venezia, Philip Rylands, manifestarono immediatamente la loro propensione ad aprire un dialogo con l’Italia, con Palermo.

Fu la prima volta che la Guggenheim Foundation si cimentava nell’apertura di una sede, di arte contemporanea appunto, all’interno di un contenitore antico; New York, Bilbao, Las Vegas, Berlino piuttosto che la nuova sede di Abu Dhabi erano state pensate come moderni contenitori per l’arte contemporanea, ma Palermo era diversa era, paradossalmente, ancora più stimolante. Restaurare uno dei più importanti Palazzi patrizi di Sicilia, per ospitare collezioni di arte contemporanea, era assolutamente una grande sfida.

Fu lo stesso Guggenheim a suggerire gli architetti ai quali affidare l’incarico di progettazione degli spazi e dell’intero sistema espositivo. L’architetto Cesare Mari, allora progettista dei più importanti spazi museali del mondo, guidato dal super-tecnico della Fondazione Guggenheim, Paul Sharzembaum, che aveva seguito la costruzione dei vari musei della Fondazione, iniziarono i lavori di progettazione prima e di realizzazione dopo. Evidentemente seguiti dai tecnici della Provincia Regionale, con a capo l’Architetto Rotolo, che ricordo dimostrarono grande entusiasmo e dedizione.

Io fui incaricato di seguire tutto il coordinamento dell’opera, il coordinamento voluto dal Guggenheim di New York e successivamente anche dalla Provincia Regionale. Fu un lavoro massacrante ma entusiasmante, data l’importanza che un’opera del genere avrebbe rappresentato per l’Italia e la Sicilia in particolare. Furono decine le persone che mostrarono grande entusiasmo verso questo progetto: dagli amici mecenati d’arte contemporanea marchesi Annibale e Marida Berlingieri che, in qualità di soci del Board della Fondazione si prodigarono con grande affetto in riunioni, incontri e sponsorizzazioni varie; così come non posso non citare l’entusiasmo dell’allora Sindaco Leoluca Orlando, ed il conseguente impegno istituzionale; così come dei vari uffici regionali che vennero coinvolti a vario titolo, non ultimo la Sovrintendenza di Palermo. Non dimentico la grande e lunga querelle che nacque tra la Soprintendenza ed il sottoscritto. Due furono i motivi del contendere: la grande copertura di vetro del cortile principale e le coperture dei pavimenti settecenteschi del piano nobile; noi ritenevamo infatti che, essendo la sede di un museo di arte contemporanea, i pavimenti settecenteschi del piano nobile del palazzo dovessero essere coperti al fine di creare un contenitore che non entrasse in competizione con le opere, la Soprintendenza, altrettanto giustamente, riteneva che una volta restaurati gli splendidi pavimenti, dovessero essere mostrati così come scelto di fare con i meravigliosi affreschi. Dopo parecchi mesi venne fuori la soluzione, peraltro volutamente ed esplicitamente riportata nell’accordo scritto: tutti i visitatori avrebbero dovuto indossare durante la visita delle babouches appositamente realizzate dal Guggenheim, per non deteriorare gli antichi pavimenti e, peraltro, accluse economicamente nel biglietto di ingresso e da portare successivamente via come ricordo.

Tutta la stampa nazionale e non solo, scrisse sul Guggenheim-Sant’Elia; grandi furono i positivi commenti della critica, non mancarono evidentemente le critiche, soprattutto siciliane.

Lo stesso Governo nazionale, con l’allora Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli, si adoperò affinchè si realizzasse l’opera. Un capitolo di spesa venne praticamente creato ed appostato sulla rubrica relativa al Ministero dello Sviluppo Economico, un capitolo contenente ben 45 miliardi di lire dedicato a: “Realizzazione di poli museali di arte contemporanea nell’Italia meridionale” capito di spesa al quale il Museo Guggenheim-Sant’Elia avrebbe attino, utilizzando di questo 9 miliardi di lire! Precisiamo bene: per la realizzazione dell’opera e la gestione della stessa non occorreva nessun finanziamento regionale o di altre istituzioni locali.. Dai calcoli economici effettuati il museo avrebbe potuto finanziarsi tramite lo sbigliettamento e la vendita del marchandising che in generale negli importanti musei seriamente gestiti ammonta a circa l’80% degli introiti.

Affinché dunque si faccia chiarezza definitivamente, né la Regione Siciliana, né l’Amministrazione Comunale di Palermo o la Provincia Regionale di Palermo, pur partecipando direttamente all’operazione, sarebbero dovuti intervenire economicamente in alcun modo. La Provincia Regionale avrebbe partecipato direttamente con l’immobile. Il primo triennio di mostre veniva totalmente finanziato dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Comunità Europea. Di ciò ne conservo gli accordi!

Furono decine, gli incontri, i tavoli di lavoro, con gli amici americani, a Palermo come a New York e Venezia.

Alla Fondazione americana fu previsto venissero solamente assicurate, come pattuito nell’accordo, le coperture finanziarie relative al trasporto ed alla assicurazione delle opere d’arte, nonché il personale che dovesse essere utilizzato in loco per il montaggio e lo smontaggio delle opere, così come una pur giusta e doverosa aliquota (fee) per l’avviamento del museo. Null’altro!

Avevamo portato a casa un immenso risultato: avremmo per Palermo potuto utilizzare il brand Guggenheim e dunque il nuovo museo si sarebbe chiamato “ Guggenheim-Sant’Elia”. Non credo occorra spiegare l’impatto culturale e la conseguente ricaduta che avrebbe avuto la presenza di un museo Guggenheim. Pur se in modo diverso sarebbe bastato vedere l’esempio che il Museo Guggenheim ebbe sulla città di Bilbao.

Voglio peraltro, per una attenta ricostruzione dei fatti, riportare di seguito l’elenco delle mostre già stabilito per il primo triennio ed inserite nell’accordo.

“L’Arte attraverso i secoli” – “Piranesi ed il Socialismo” – “Robert Rauschenberg” – “Art of Motocycle” – “Moving Pictures” – “Klee and Kandisky” – Rauschemberg Prints” – “ Kandisky ed Ives Saint Laurent” – “ Le Corbusier” – “Bill Viola”- “Mappelthorpe e il Manierismo” – “Gli antichi Maya” – “ Jackson Pollock e l’Espressionismo Astratto” – “Fellini” – “ Installazioni Contemporanee”.

Evidentemente tutti eravamo convinti che occorreva che la Sicilia, in tema di arte contemporanea, seguisse un percorso pedagogico conoscitivo in grado di educare il pubblico; non sarebbe stato corretto immaginare di realizzare alcune mostre fortemente “avanguardistiche” che probabilmente non sarebbero state comprese dai visitatori. Occorreva dunque una opera di formazione che successivamente avrebbe permesso altro tipo di esposizioni certamente più complesse.

Incredibile ma vero: la stessa Fondazione Guggeheim si impegnava annualmente a circuitare buona parte dei visitatori-collezionisti internazionali soci della Fondazione, con un turismo culturale di livello alto-altissimo.

L’operazione Guggenheim avrebbe portato una ricaduta economica sulla nostra città e sull’intera Regione senza pari. Per riportarlo ai nostri giorni, basti pensare che la mostra su Caravaggio, allestita alle Scuderie del Quirinale, ha dato su Roma un gettito di più di 30 milioni di euro.

Ricordo che un piccolo ma significativo esempio, apparentemente banale ma foriero di grandi investimenti, venne dal piccolo bar posto difronte palazzo Sant’Elia che realizzò, in onore del futuro museo, un cono che, prendendo la forma cilindrica-piramidale del museo Guggenheim di New York, venne chiamato in onore “Guggen-ice”.

Gli entusiasmi avevano già trovato la loro concretizzazione: Palazzo Trigona Celestri di Sant’Elia era praticamente pronto, tranne gli arredi già peraltro finanziati, per ospitare tutto. Ma il Gattopardo alla fine ricomparve!

Nuove elezioni e nuove Istituzioni, ritennero che il progetto dovesse essere bloccato, che la Sicilia non aveva bisogno del Gugenheim, del “Mc Donald’s” dell’arte contemporanea, come venne dichiarato sulla stampa. Non occorreva un Geggenheim perché, con la tipica e becera mentalità gattopardesca, la nostra Sicilia aveva la sua arte, la sua arte contemporanea e dunque non occorreva essere colonizzati da stranieri. Il Gattopardo dunque ebbe il sopravvento: il più grande peccato per la Sicilia non è fare bene o fare male, ma è il peccato del fare.

Il grande progetto svanì, gli sforzi che in molti abbiamo fatto per anni in termini assolutamente volontari sono stati buttati al vento e con il vento si sono dileguati anche tutti i milioni di euro spesi per la ristrutturazione di un museo che alla fine passo da gande museo internazionale a banale museo di una città di provincia.

Ancora una volta la nostra Sicilia ha ritenuto di volere sacrificare un grandissimo progetto che avrebbe certamente dato ragione a quanto spesso affermato oggi dal nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi : “ Con la cultura si mangia”.

 

 

 

 

 

 


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