PALERMO – L’obiettivo è di verificare le potenzialità di ripristino dei fondali marini degradati del golfo di Palermo e per farlo, l’università mette in campo, insieme ai propri esperti, la barca di ricerca “Antonino Borzì”. Nell’ambito del progetto “Sviluppo di tecnologie innovative per l’identificazione, monitoraggio, remediation di sorgenti di contaminazione naturale e antropica”, è realizzato un impianto pilota di riforestazione con Posidonia oceanica. Le attività di monitoraggio sono state condotte nei giorni scorsi, con l’ausilio dell’imbarcazione, dal Laboratorio di Ecologia Acquatica del Dipartimento delle Scienze della Terra e del Mare, coordinato dal professore Sebastiano Calvo, in collaborazione con Biosurvey srl spin-off accademico dell’Università di Palermo, con la presenza del direttore del dipartimento, il professore Valerio Agnesi e il vice direttore, Attilio Sulli.
“Nel corso di attività di monitoraggio di impianti pilota di riforestazione con Posidonia oceanica, realizzati in Sicilia per ripristinare fondali marini degradati – spiegano – abbiamo verificato i risultati a lungo termine (12 anni) di un impianto di riforestazione, realizzato nel 2008 in località Bandita, a seguito di una convenzione tra il Comune di Palermo e l’Università. L’intervento è stato svolto come compensazione degli interventi relativi al primo stralcio funzionale delle attività di ripascimento condotte dal Comune di Palermo all’Arenella. Nella prateria donatrice di Solanto sono state prelevate 400 talee di Posidonia per un totale di 1.525 piante. Successivamente nell’area del sito ricevente, le talee sono state fissate su griglie metalliche in ferro zincato elettrosaldato, ancorate al substrato mediante chiodi in ferro di opportuna lunghezza e collocate secondo una disposizione a scacchiera. In totale è stata riforestata una superficie di 40 metri quadrati”.
“Sebbene l’impianto abbia subito nei primi anni severi danni legati ad ancoraggi ed attività di pesca artigianale costiera – precisano – a distanza di 12 anni le talee rimaste si sono moltiplicate e nel 2020 il numero di fasci presenti è quasi il 600% rispetto al 2008 e oltre il 1.100% rispetto al 2011, quando il numero di piante presenti era risultato dimezzato rispetto a quelle originariamente trapiantate nel 2008. Si tratta di risultati che per la prima volta in Mediterraneo riportano attività di monitoraggio a lungo termine di impianti di riforestazione con Posidonia oceanica. I risultati estremamente positivi, oggetto a breve di pubblicazione scientifica, confermano quanto già osservato dal gruppo di ricerca dell’Ateneo ed evidenziamo come il ripristino di fondali degradati sia non solo possibile ma anche realizzabile in tempi relativamente più brevi di quanto ad oggi ipotizzato nella letteratura scientifica specifica”, concludono.