Sconfessioni, liti e retromarce| Così nasce il governo di nessuno - Live Sicilia

Sconfessioni, liti e retromarce| Così nasce il governo di nessuno

Doveva essere la giunta "politica" che avrebbe rinsaldato i partiti e compiuto finalmente le riforme, dopo tre anni di flop. E invece, non c'è forza della maggioranza che non abbia preso le distanze dal Crocetta quater. E adesso il Pd pensa al ritiro dei propri assessori e alle elezioni anticipate.

La crisi alla regione
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PALERMO – Il segretario regionale del Pd Fausto Raciti sconfessa la delegazione democratica del governo. E minaccia persino il ritiro degli assessori. Il presidente del partito Bruno descrive Crocetta come un “presidente pasticcione”: “Forse è meglio restare fuori da questa giunta”. Nel frattempo, Angelino Alfano disconosce il “tecnico” Carlo Vermiglio. Mentre il Megafono e Sicilia democratica prendono le distanze dal nuovo esecutivo. Così come il portavoce di Sicilia Futura, Nicola d’Agostino.E meno male che questo doveva essere il governo politico. Quello della svolta, del coraggio e del cambiamento.

E invece, è solo il governo di nessuno. Il governo del caos, dell’improvvisazione, delle faide, degli umori. Una confusione che ha toccato l’apice nella serata di ieri, quando Crocetta si è detto disponibile, dopo aver diffuso l’elenco degli assessori, “a rivedere insieme a Raciti alcune delle nomine in giunta”. Scene da tragicommedia. Se solo si pensa che gli incontri, i confronti, i vertici in vista del nuovo governo vanno avanti da quindici giorni. Un periodo in cui, a differenza che in passato, il segretario regionale del Pd e il governatore sono sembrati in sintonia, o quantomeno impegnati nella stessa direzione: il governo politico. Un lavoro che, stando agli ambienti vicini al segretario Raciti sarebbe stato vanificato dalla scelta di Crocetta di non rispettare i patti. Per farla breve, dopo aver raccontato per giorni: “Attendo che il Pd mi dia i nominativi per formare il nuovo governo”, il presidente avrebbe ignorato la lista portata a Palazzo d’Orleans dal leader siciliano dei democratici. Una lista che prevedeva anche l’assessore in rappresentanza di Giuseppe Lupo. Al suo posto, Crocetta ha scelto allultimo minuto Antonio Fiumefreddo.

E così, l’obiettivo di formare il governo politico, quello della riconciliazione, dell’accordo, della svolta, è miseramente fallito. Non c’è forza politica, infatti, che non si sia premurata di prendere le distanza da questo Crocetta quater. Definito “un aborto” dal Movimento cinque stelle, con una parafrasi molto dura, ma che rende bene l’idea. Specie dopo la parziale marcia indietro di Crocetta: alle 17 aveva diffuso i nomi. Tre ore dopo si è già detto pronto ad apportare qualche correzione. Di rivedere la “presenza dell’area Lupo” in giunta. E le interlocuzioni, i dialoghi, le riunioni tra Palazzo d’Orleans e Tusa? Hanno partorito questo capolavoro. Un governo che doveva avere tanti padri, e si è ritrovato orfano.

Semmai, Crocetta ha provato a vincere le partite personali, le sfide da retrobottega della politica. Perso, infatti, il braccio di ferro con Faraone sulla conferma di Alessandro Baccei all’Economia, il governatore ha insistito sul nome del fedelissimo Antonio Fiumefreddo, considerato “l’uomo chiave” della giunta già più di un mese fa. Quando avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di assessore alle Attività produttive, nel quale invece è stata confermata Mariella Lo Bello. Poco male, Fiumefreddo è stato indicato alla Funzione pubblica. Un ritorno in giunta dopo la brevissima e polemica parentesi che lo ha visto, un anno e mezzo fa, per poche ore alla guida dell’assessorato ai Beni culturali. Un uomo di fiducia, insomma. Che non a caso è tornato buono su poltrone molto diverse una dall’altra. È ciò che resta, in fondo, del cerchio magico del presidente. Una scelta assolutamente legittima, sebbene sollevi qualche dubbio l’indicazione “in quota Pd”. Ma che ha rappresentato una sfida lanciata al partito, che non aveva mai gradito quel nome. E ha portato alla rottura polemica con Raciti.

Così il Pd, che doveva rappresentare l’ossatura di questo esecutivo, e che guardando la lista diffusa alle cinque del pomeriggio dal governatore, sembrava esserlo davvero, ha sconfessato la giunta di Crocetta praticamente in sala parto. Attraverso, tra l’altro, rappresentanti di anime diverse, in un partito costantemente dilaniato dalle divisioni. Ma che si è ritrovato unito nel giudizio negativo su questo governo. Raciti ha subito parlato di “errore di Crocetta” e pensato seriamente di ritirare la delegazione degli assessori. Una convizione così profonda da spingere Crocetta al ritorno frettoloso a Palermo da Messina, per incontrare il segretario Pd. Intanto, anche il presidente dei democratici, il renziano ed ex assessore Giuseppe Bruno ha ventilato l’ipotesi di uscire dalla giunta. Uno stato d’animo che ovviamente coincide con quello di esponenti del Pd nazionale, a cominciare da Davide Faraone. Da fonti vicine al sottosegretario si parla di grande irritazione dopo le notizie giunte da Palermo. Anzi, Faraone avrebbe ricominciato a caldeggiare l’ipotesi delle elezioni anticipate, considerando questo nuovo rimpasto solo una forma di accanimento terapeutico nei confronti della Sicilia. Una giunta, quella varata da Crocetta, che potrebbe adesso anche complicare i piani in vista dell’incontro col governo nazionale sui conti della Sicilia, previsto per il 9 novembre. Un passaggio delicatissimo e fondamentale. Di carattere “politico”. Dal quale il governo Renzi si attendeva un segnale di affidabilità. E invece il segnale va in tutt’altra direzione: il governo di nessuno sarà anche il governo delle fibrillazioni, delle divisioni, dei nuovi ultimatum. Insomma, un successo.

Come confermato anche dalle altre forze di una maggioranza che sembra sgretolarsi. Le stesse che avrebbero dovuto essere coivolte nella nuova “piattaforma programmatica”, nel nuovo patto di fine legislatura, nel fastasmagorico piano delle riforme. E invece, ecco defilarsi tutti, uno per uno. Con esempi eccellenti. Come quello dei deputati del Megafono-Pse che hanno tenuto a precisare che “nessun assessore tra quelli nominati rappresenta il nostro gruppo”. Lo stesso hanno fatto gli esponenti di Sicilia democratica attraverso le parole del presidente Cusumano, mentre il coordinatore di Sicilia Futura Nicola d’Agostino parla già di governo senza “la solidità per affrontare le emergenze e concludere la legislatura, per assenza di equilibrio politico. Non comprendiamo – prosegue D’Agostino – quale sia la novità politica. Stante così le cose il nostro interesse per questo presidente, per questa maggioranza e per questo governo è pari a zero. Non rimarrebbe a questo punto altra strada che l’opposizione”. Una sconfessione su tutta la linea, insomma. E del resto, gli uomini di Totò Cardinale sono in grande sintonia con i renziani del Pd. Che da Roma fanno sapere di avere tirato fuori dal cassetto l’ipotesi che in passato era stata più volte presa in considerazione: elezioni anticipate. Il governo di nessuno, infatti, dimostra che nessuno può più sperare che le cose cambino davvero.


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