La sanità dei corpi abbandonati, a Palermo, in Sicilia, si rivela (anche) nell’atrio di un ospedale. Si aspetta, perché si cucina con quello che c’è. Convocazione poco dopo il pranzo, per una visita. Ingresso col buio, un’ora prima della cena. In mezzo, un calvario. Un dimenarsi sopra una sediolina scomoda che diventa filo spinato, quarto d’ora dopo quarto d’ora.
Non è certo colpa del medico gentilissimo, preparato e volenteroso che, infine, accoglie. E spiega tutto, con dovizia di particolari, sapendo che potrebbe essere chiamato in reparto da un momento all’altro. Appunto, si cucina con quello che c’è. Esigenze enormi, trincea sempre più assottigliata, nella sanità pubblica: la somma algebrica, con esattezza, rintocca sul tema dell’abbandono che unisce i professionisti coscienziosi (non tutti lo sono, ma questo è un altro discorso) e i curati.
Chi è stato in quella sala di una lunga veglia non dimenticherà mai la quieta rassegnazione di molti. Come se fosse normale aspettare tre-quattro-cinque ore. E c’era la necessaria comprensione nei confronti della fatica degli operatori sanitari. Ma c’era anche la rassegnazione del non chiedere altro. Perché la sanità siciliana è pure questa, soprattutto questa, nei disagi di coloro che cercano un approdo.
Malati ‘pazienti’
Ha raccontato Fausto Melluso su Facebook: “Ho già scritto di quanto noi malati, noi pazienti, siamo davvero troppo pazienti in Sicilia”.
“Una delle cose che ci capitano è assistere al progressivo arretramento del sistema di cure, mentre vanno avanti annunci strombazzati e convegni in cui si dice che le cose vanno alla grande, anzi meglio di prima. Basta una semplice ricerca per verificare come la Regione Siciliana vanti un posizionamento da leader nazionale nell’assistenza alle malate e ai malati di sclerosi multipla. Ma sarà davvero così?”.
“Assolutamente no – continua la narrazione -. Prenotare una visita, anche fra quelle regolari di controllo, è sempre più difficile e ciascun malato ha una storia di mortificazione e disastri. Ad esempio io, che mi curo in uno dei più grandi ospedali della città, le risonanze ormai le devo fare a Bagheria e, se devo fare una visita specialistica, beh, sarebbe lungo raccontare in che girone dantesco si entra…”.
I corpi abbandonati
Innumerevoli sono le storie dei corpi abbandonati. Lasciati sul ciglio di domande inquiete, spesso, senza riposte attendibili e tempestive. Non è l’eccezione. Chiunque entri in un ospedale, nell’ambulatorio affollatissimo di un medico di base, in un qualunque segmento della nostra sanità, vedrà desolate biografie in fotocopia. Coglierà i cenni di una rassegnata, inesorabile apatia, mentre si scivola – per vicende a vario titolo – verso il baratro.
Non è davvero un esito inverosimile – cause generali considerate – in una Regione che riempie da sempre le sue caselle, perfino nella fragilissima sanità, con un robusto riferimento alle suddivisioni da manuale Cencelli, non solo alla capacità (quando c’è). Ogni pezzetto di trascuratezza e di rapacità ha creato il mosaico del dolore.
Per salvare il salvabile servirebbe uno scatto morale della politica, quell’interesse al bene comune sbandierato a ogni piè sospinto da tutti. Ma abbiamo davanti agli occhi una realtà molto diversa.
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