Porta Nuova, regolamento di conti | Quella strana intimidazione - Live Sicilia

Porta Nuova, regolamento di conti | Quella strana intimidazione

Giovanni Di Giacomo

Lo scorso agosto qualcuno ha bruciato le vetrine di un bar-tabacchi in pieno centro e oggi sotto sequestro. L'episodio viene collegato ad un'intercettazione in carcere fra Giovanni e Giuseppe Di Giacomo. Il primo sconta l'ergastolo, mentre il secondo è stato ammazzato per le strade della Zisa.

PALERMO – Forse non è stato soltanto il gesto degli uomini del racket. Potrebbe esserci molto di più dietro l’intimidazione subita dal titolare di “Tabacco e Caffè” di via Gaetano Daita. Un’intimidazione passata sottotraccia ai danni di un’attività commerciale poi sequestrata e ora in amministrazione giudiziaria. Qualcuno avrebbe voluto regolare un conto aperto all’interno del clan mafioso di Porta Nuova.

Partiamo dalla notte dell’8 agosto scorso. Qualcuno piazza due piccole bombole di gas davanti alle vetrine del bar-tabacchi. Una va in fiamme, ma non esplode. L’altra sfiata e fa cilecca. Si pensa subito al racket, ma gli eventi successivi hanno aperto nuove ipotesi. Nel febbraio scorso le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo e del Gico della Guardia di finanza di Palermo fanno scattare il sequestro, disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale, per i beni di Maurizio De Santis e Luigi Salerno. Sono genero e suocero. Il primo è il titolare del ristorante “Bucatino” di via Principe di Villafranca – oggi ha cambiato nome – scelto dai boss per i pranzi di Cosa nostra. Fra panelle, pasta con le sarde e buon vino si decidevano le nuove strategie dei clan di città e provincia. Salerno, invece, ha già scontato una condanna a nove anni per mafia ed estorsione. Secondo gli investigatori, sarebbe socialmente pericoloso e non avrebbe redditi leciti che possano giustificare alcuni investimenti. Ecco perché gli sono stati sequestrati i beni, tra cui “Tabacco & Caffè.

Salerno viene considerato “socialmente pericoloso” dagli investigatori non solo per la sua antica militanza in Cosa nostra. Da alcuni colloqui in carcere è emerso che Giuseppe Di Giacomo, poi assassinato alla Zisa, aveva incaricato Alessandro D’Ambrogio, reggente del mandamento di Porta Nuova, di avvicinare Salerno per chiedergli un finanziamento da 100 mila euro per un traffico di droga. Salerno avrebbe preso tempo, provocando la collera di Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano, che gli rimproverava le sue “mancanze” nei confronti dell’organizzazione, della quale avrebbe fatto fatto parte solo “per curare i suoi interessi”. C’è di più, perché Giovanni Di Giacomo aveva incaricato il fratello di pedinare Salerno, forse con il proposito estremo di eliminarlo.

Nel marzo 2014 Giuseppe Di Giacomo viene crivellato di colpi alla Zisa. Un mese dopo, in aprile, i carabinieri bloccano la possibile reazione del fratello ergastolano. Nel blitz Iago finiscono in cella otto persone, fra cui Tommaso Lo Presti, considerato l’uomo forte nella zona di Palermo Centro. Due anni prima in carcere c’era finito anche D’Ambrogio. Fra omicidi e arresti, tutti i capi, o presunti tali, sono fuori dai giochi. Eppure la scorsa estate qualcuno avrebbe voluto mandare un avvertimento a Salerno, bruciandogli le vetrine del negozio. Il carcere e il piombo, ed è questa l’ipotesi su cui lavorano investigatori e magistrati, non avrebbe chiuso la partita con Salerno. C’+è qualcuno pronto a sobbarcarsi il peso delle più delicate faccende.


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