Tabella H e festeggiamenti |La solita notte delle clientele - Live Sicilia

Tabella H e festeggiamenti |La solita notte delle clientele

All'Ars il solito spettacolo. Una pioggia di quattrini si è abbattuta indistintamente, come da tradizione, su una pluralità di congreghe accomunate da un unico comune denominatore: l’affiliazione a un onorevole sponsor. A corredo, gli applausi dei precari al tribuno di turno e gli agguati notturni per portare qualche soldo nel proprio collegio. E la chiamano rivoluzione...

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PALERMO- E così a Palazzo dei Normanni andò in scena l’ennesima replica di uno spettacolo, scadente, già visto e rivisto. Il bilancio e la finanziaria approvati quando già sul calendario aprile aveva lasciato posto a maggio, in una lunga notte da zona Cesarini. Proprio come due anni fa. Le folle festanti di precari accampati in piazza di Parlamento, sballottati in un elastico crudele e indecente tra promesse e disillusioni, che festeggiano come allo stadio, acclamando il proprio spregiudicato tribuno di turno. Già visto, anche questo. E poi gli agguati notturni, imboscate che puntuali si presentano alle ore piccole, come quella targata Messina che ha fatto sistemare qualche vigile urbano e ha provocato un innalzamento di pressione a Crocetta e a diversi deputati. Fino al climax della Tabella H, eterna e sempre affascinante riedizione del mercato delle vacche, con strascichi di liti, duelli rusticani, anatemi.

Con una variante, stavolta: il coro di mea culpa dei deputati, che mentre approvavano la consueta pioggia di finanziamenti ai loro protetti, piangevano lacrime di coccodrillo sul pulpito di Sala d’Ercole, stracciandosi le vesti perché questo rito penoso non abbia a ripetersi più, un po’ come Fantozzi quando si abbuffava della sua zuppiera di spaghetti aglio e olio promettendo a se stesso che dall’indomani si sarebbe messo a dieta. Piangendo piangendo, la famigerata tabella (che si chiami H o Pi greco è chiaro che poco importi) è stata approvata, malgrado i no dei grillini e l’apprezzabile ma vano tentativo di Nello Musumeci di pensionarla. E una pioggia di quattrini si è abbattuta indistintamente, come da tradizione, su una pluralità di congreghe accomunate da un unico comune denominatore: l’affiliazione a un onorevole sponsor.

Anche questa è andata. Il governo di Rosario Crocetta può archiviare la pratica e guardare avanti. Anche se nel braccio di ferro con l’Assemblea il presidente della Regione ha dovuto cedere e non poco, su temi come Formazione e Tabella H, offrendo un’immagine non esattamente di forza. Crocetta però può sorridere per aver trovato ampie convergenze, recuperando il rapporto con i grillini, e può intestarsi il risultato di un bilancio che ha imposto una opportuna, per quanto obbligata, cura dimagrante alla Regione.

Con la finanziaria, infatti, è stato approvato il bilancio di lacrime e sangue che con fatica e apprezzabile rigore l’assessore Bianchi ha messo su, facendo i conti con la disastrosa situazione finanziaria della Regione. Gli assessorati sono tutti chiamati a stringere la cinghia. I pochi soldi che restano? Se ne vanno per lo più nelle continue emergenze. Quelle dell’universo sconfinato di precari e clientes a vario titolo foraggiati dalle casse pubbliche, tutti o quasi finiti sotto la rassicurante ala di mamma Regione in spregio al principio costituzionale del concorso pubblico. La finanziaria non si dimentica di loro, all’insegna di una sconfinata (e anche questa vista e rivista) raffica di proroghe. Che confidano in un futuro incerto e nebuloso, senza una visione, un progetto (con l’eccezione dei forestali, per i quali per lo meno si è ampliata la sfera di competenze, primo impercettibile passo verso parvenze di normalità), un accenno di ampio respiro. È questa l’unica declinazione del concetto di lavoro che si trova nei documenti finanziari licenziati dall’Ars. Per il resto, poco o nulla.

Certo, è apprezzabile la nascita del microcredito per cui si sono battuti i deputati 5 Stelle. Così come darà qualche sollievo la moratoria per i debiti delle imprese. Ma si resta nell’ambito dei pannicelli caldi, o poco più. Lo sviluppo, le imprese, la parte produttiva della Sicilia, i veri posti di lavoro che producono ricchezza invece che consumarla, ecco tutto questo mondo è il grande assente nelle lunghe notti di Sala d’Ercole. Le misure pensate dal governo sono state stralciate e dovranno essere attuate (ci auguriamo con celerità) per via amministrativa. Nell’attesa, le imprese abbandonate al proprio destino hanno già fatto sentire il proprio sdegno per le consuete politiche elettorali che coccolano i figli, stipendiati dal pubblico, e abbandonano i figliastri (dipendenti e imprenditori, sulla stessa traballante barca) che perdono il lavoro nel privato.

Tra le cose da salvare di questa finanziaria, insieme al sopracitato rigore di massima, c’è a scelta oculata di stralciare una serie di norme a rischio impugnativa, e altre che meritavano un approfondimento più prudente, che speriamo non si traduca in melina. E volendo sforzarsi di guardare alla parte piena del bicchiere (e non ci sogniamo di quantificarla nella metà), meritano una citazione i tagli agli emolumenti dei supermanager della Sanità e dei dirigenti e la sforbiciata alle auto blu. Segnali anticasta da cui provare a ripartire. Che però sbiadiscono quando si guarda al bilancio interno dell’Assemblea. Sì, perché mentre gli assessorati tagliano i costi del 30 e 40 per cento, l’Ars è riuscita a partorire un taglietto del 7 per cento alle proprie faraoniche spese. Una miseria. Rimandando al futuro, e certo che fretta c’è?, i tagli imposti ai consigli regionali dal governo Monti, l’Assemblea mantiene le sue opulente prebende. Solo i deputati ci costano 20 milioni, 7 milioni e passa i trasferimenti ai gruppi (dovrebbero essere 700 mila secondo i parametri del decreto Monti, ricorda Panorama), 38 milioni i dipendenti pagati a peso d’oro. E mentre tutto cola a picco e in nome della crisi si impongono sacrifici spietati, Palazzo dei Normanni incrementa senza traccia di rossore le spese per consulenze e personale delle segreterie particolari.

È questa la “rivoluzione”? Forse sì. Magari quella immaginata da Tancredi Falconeri, il nipote del Gattopardo, secondo il quale bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è. Un’illusione la sua, che tale si rivelò al principe Fabrizio, cui toccò prendere atto che al tempo dei gattopardi e dei leoni seguiva quello degli “sciacalletti” e delle “iene”. Chi avrebbe potuto immaginare che persino di questi ultimi ci sarebbe toccato di sentire la mancanza?

 

 


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