Pizzo sui terreni dei cugini Salvo | La nipote: "Ho avuto paura" - Live Sicilia

Pizzo sui terreni dei cugini Salvo | La nipote: “Ho avuto paura”

Passato e presente si intrecciano. Così i boss trapanesi misero le mani su una tenuta venduta all'asta.

PALERMO – Il passato è passato. Non importava che le vittime fossero parenti dell’esattore e mafioso Ignazio Salvo. Anche loro si sarebbero dovuti piegare al volere del boss di Salemi, Michele Gucciardi.

Il cuore dell’inchiesta della Procura di Palermo, che ha portato all’arresto di 12 persone, ruota attorno alla vendita all’asta dei terreni pignorati ai coniugi Antonio e Giuseppa Salvo. Un tempo erano proprietari di sconfinati possedimenti in provincia di Trapani, poi si sono indebitati con le banche che hanno avviato le procedure esecutive immobiliari.

Una delle proprietà di maggior valore di Giuseppa Salvo era una tenuta di sessanta ettari in contrada Pionica, a Santa Ninfa, coltivata a vigneto. Nel maggio 2012 è stata comprata all’asta per 138 mila euro formalmente da Roberto Nicastri, fratello di Vito. I Nicastri pochi mesi dopo raggiunsero un accordo per rivendere i terreni, ad un prezzo molto più alto di quello di aggiudicazione dell’asta, alla Vieffe Agricola di San Giuseppe Jato dei cugini Leonardo Ficarotta e Paolo Vivirito (il socio occulto sarebbe il padre di Ficarotta, Cino). Con la formula del comodato d’uso sarebbe stato mascherato un contratto preliminare stipulato nel dicembre 2012 che fissava il prezzo di vendita a 750 mila euro.

Sui terreni pendeva, però, una richiesta di autorizzazione all’espianto dei vigneti presentata da Giuseppa Salvo alla Regione. La donna voleva vendere i successivi diritti di reimpianto (circa 10 mila euro a ettaro), per per ripianare parte dei debiti. Se il progetto della donna fosse andato in porto sui terreni non sarebbe stato più possibile richiedere i finanziamenti comunitari previsti per la ristrutturazione delle superfici a vigneto.

>I NOMI DEGLI ARRESTATI

Ecco, dunque, che Cosa Nostra si sarebbe attivata per costringerla a ritirare la richiesta di espianto.Tra novembre e dicembre del 2012, Michele Gucciardi, al vertice della famiglia mafiosa di Salemi, con la complicità dell’agronomo Melchiorre Leone, avrebbe raggiunto l’obiettivo, convocando la donna nello studio del professionista. Così Giuseppa Salvo ha ricostruito l’episodio ai carabinieri: “Gucciatrdi mi disse che i terreni di contrada Pionica acquistati da Nicastri dovevano essere rivenduti ad altre persone che avevano interesse a che i reimpianti rimanessero collegati all’azienda. In pratica Gucciardi mi disse che dovevo rinunciare alla pratica di espianto facendomi anche capire, senza dirmelo espressamente, che sarei stata indennizzata in qualche maniera. Gucciardi non mi fece mai delle minacce, limitandosi a dire ‘signora stia tranquilla’. In quel momento, però, poiché sapevo che Gucciardi orbitava nell’ambiente malioso, ho avuto timori a resistere alle sue richieste collegandolo peraltro a Vito Nicastri che avevo sentito avere avuto analoghi problemi di giustizia. Ho avuto paura per l’incolumità fisica di mio marito e soprattutto dei miei figli e ho deciso di acconsentire alle sue richieste, senza consultarmi con nessuno”.

Il risultato fu che nel 2014 la donna ritirò la richiesta inoltrata alla Regione. Successivamente la Vieffe ha ottenuto, grazie alla rinuncia di Giuseppa Salvo, 500 mila euro di finanziamenti comunitari che servirono per pagare una parte della tenuta. Carte alla mano Roberto Nicastri ha incassato 530 mila euro, ma secondo l’accusa i soldi pagati dagli imprenditori di San Giuseppe Jato sarebbe molti di più. Si parla di una provvista in nero versata nelle tasche dei mafiosi e del latitante Messina Denaro. Al buon sito dell’affare avrebbero contribuito anche Salvatore Crimi, responsabile della famiglia di Vita, e Giuseppe Bellitti, un tecnico a disposizione del boss di Salemi. Sarebbe emersa anche la responsabilità dei fratelli Vito e Gaspare Salvatore Gucciardi (solo omonimi del boss Michele di Salemi),che avrebbero messo a disposizione i locali del proprio baglio, in località Chinea, per consentire incontri riservati fra i mafiosi. Quando si accorsero della presenza di un gps lo scambiarono per una microspia e corsero ad avvisare gli altri. Partì una bonifica gestita da Girolamo Scandariato e la microspia saltò fuori sul serio, interrompendo le intercettazioni.

Sorte diversa ebbero i terreni di Antonio Salvo, marito di Giuseppa. Arrestato arrestato per mafia, condannato in primo grado ma assolto con sentenza definitiva, ad Antonio Salvo fu applicata la sorveglianza speciale perché considerato socialmente pericoloso. Quando ammazzarono lo zio Ignazio il nipote, temendo per la sua vita, avrebbe cercato di consolidare i rapporti con i Brusca a cui avrebbe prestato 500 milioni di lire mai più restituiti. Si disse che la mafia avrebbe voluto ucciderlo, ma alla fine Messina Denaro decise di salvargli la vita. Ad una condizione però: i Salvo avrebbero finanziato i suoi traffici di droga.

Alcuni terreni di Antonio Salvo erano andato all’asta e se l’era inaspettatamente aggiudicati un imprenditore. Il nipote dell’esattore si sarebbe rivolto a Michele Gucciradi affinché mettere a posto le cose, ma l’uomo che si aggiudicò l’asta si rifiutò di rivendere i terreni.


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