Covid, Faraoni (Asp): "Ci aspettano mesi non semplici"

“Ci aspettano mesi non semplici, stiamo facendo il possibile”

Parla Daniela Faraoni, capo dell'Asp di Palermo, sull'emergenza pandemia: "Non abbiamo la bacchetta magica, ma facciamo il possibile"

PALERMO- Ci sono due Daniela in questa chiacchierata. La dottoressa Daniela Faraoni, capo dell’Asp di Palermo, sulla trincea del Coronavirus. E c’è Daniela F. che, di sera, chiude a chiave la porta. Ed è quest’ultima che adesso dice: “Non so se vinceremo la guerra”. Ma è la prima che sta facendo di tutto per vincerla.

Dottoressa, lei ha paura?
“La sera, quando torno a casa. E penso: chissà se ho fatto tutto quello che serviva, ma ho fatto tutto quello che è nelle mie possibilità, non lasciando indietro nulla. In quel momento, nonostante l’impegno, non ho la certezza di vincere la guerra, credo che sia umano. So che stiamo facendo il possibile per vincerla”.

La responsabile dell’Asp condivide quello stato d’animo domestico e comprensibile?
“Le mie scelte sono sempre state correttamente gravate dalla giusta preoccupazione di gestire il sistema e cioè di fare il bene delle persone. Abbiamo realizzato Partinico come Covid Hospital nell’ottica del servizio alla comunità”.

Riguardo alla notizia che ieri sono arrivati i carabinieri, lei che dice?
“La presenza dei Nas è stata sollecitata da chi non ha gradito la riqualificazione dell’ospedale e ha cercato di porre tutti i possibili ostacoli affinché quell’ospedale non venisse utilizzato come Covid Hospital. Ove sollecitati, i Nas si presentano e sono felice che abbiamo fatto la loro verifica, così possiamo tranquillizzare sia i cittadini che i lavoratori. Tant’è che non c’è stato alcun ostacolo all’utilizzo immediato di una delle due terapie intensive messe in piedi durante la primavera. Sono altresì felice di essere riuscita, insieme alla mia squadra, a realizzare queste strutture perché oggi sono di vitale importanza nel sistema sanitario di questa provincia”.

Parliamo di medici di famiglia assediati, anche per la vaccinazione antinfluenzale, di ritardi nei tamponi, di un sistema che pare già in crisi. Non siamo ancora a novembre.
“L’Asp ha messo in campo ogni sforzo. Discutiamo di cose concrete”.

Prego.
“Il territorio sta reggendo, certo, con i suoi problemi. Abbiamo, a Palermo, l’Hotel Covid, al San Paolo: sono centottanta posti di cui centosessanta occupati. E lì vanno, dopo la segnalazione, i positivi asintomatici o paucisintomatici che vivono una condizione domiciliare disagevole. Cioè che, per esempio, stanno in una abitazione con i familiari e hanno un parente immuodpresso, un solo bagno… Situazioni che vanno controllate per evitare il diffondersi del contagio. Abbiamo quaranta posti a Castelbuono per soggetti asintomatici e paucinstomatici non autosufficienti. Abbiamo riconvertito una Rsa di Borgetto in Rsa Covid. C’è Partinico e c’è una nuova struttura che ospita le attività ambulatoriali che a breve sarà a disposizione. Tutto per proteggere la comunità e garantire, al meglio, il turnover negli ospedali, che devono accogliere soltanto i malati”.

E poi ci sono i medici di base, appunto, alle prese con la folla di telefonate e persone che chiede lumi o la prenotazione per il vaccino contro l’influenza. Alcuni di loro sono malati e rischiano.
“I medici di base, da sempre, sono il fulcro su cui la sanità ha puntato per sviluppare le proprie azioni. E sono una risorsa fondamentale perché hanno il contatto vero con i cittadini. E’ chiaro che in un frangente del genere sono sottoposti a una grande pressione. Ma è bene ricordare che viviamo una esperienza che avevamo conosciuto, noi contemporanei, soltanto nei film”.

E ci sono le Usca, le unità di assistenza. Un esercito lanciato per contrastare il Covid che non ha neanche il tempo di grattarsi la testa.
“A Palermo abbiamo venticinque Usca e centonovanta operatori. Grazie all’ordinanza del presidente della Regione, avremo cinquanta Usca e il doppio di personale, a breve. Uno strumento nevralgico, ma…”.

Ma?
“Le risorse si rendono disponibili sugli sviluppi della pandemia. Ripeto: non siamo in un contesto di normalità. Siamo consapevoli della circostanza che ci possono essere criticità locali in una catastrofe di proporzioni mondiali. Ci stiamo attrezzando, ma non abbiamo le bacchette magiche, purtroppo. Chiedo a tutti di comprenderlo. Stiamo combattendo una guerra”.

Con buchi in organico, visto che avete sottolineato, con trasparenza, la latitanza di certe figure professionali, come gli infermieri.
“Non sono buchi in organico, ma sono carenze dettate dalle particolari esigenze del momento. Abbiamo formato infermieri in Sicilia in grande quantità. Con il piano di rientro, con i tagli, negli anni scorsi, non siamo riusciti ad assumerli. E sono andati al Nord dove, ovviamente, se li tengono stretti. Per cui, adesso potremmo assumerli, ma non ci riusciamo lo stesso”.

C’è gente che attende un tampone. Per quanto?
“Ci sono state delle criticità, non lo nego, figuriamoci se ci mettiamo a nascondere le cose. Ci stiamo impegnando per migliorare, con procedure e comunicazioni più snelle, anche in giornata”.

Avete avuto operatori contagiati in azienda?
“Sì, ma non per eventi connessi al lavoro. Infatti, siamo riusciti a contenere, evitando i focolai”.

Quali sono le condizioni della truppa?
“Siamo vicini a chi si trova nell’angoscia e cerchiamo di fare, ripeto, tutto il possibile. I prossimi mesi non saranno semplici”.

La sera, si torna a casa…
“E si continua a lavorare al telefono. La pandemia non ammette riposo né da parte mia, né da parte di tutti gli operatori e non finirà, sicuramente, nei prossimi tre mesi”.

Il suo pensiero personale più forte?
“La mia nipotina. Ha ventitré mesi. Spero che possa lasciarsi tutto questo alle spalle, quando sarà finita”.


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