Processo annullato alla mafia di Brancaccio: imputati tutti liberi - Live Sicilia

Processo annullato alla mafia di Brancaccio: imputati tutti liberi

Scarcerati personaggi che contano e dal cognome pesante

PALERMO – Processo annullato, tutti liberi. Le condanne in primo grado erano state pesantissime. Gli imputati erano stati ritenuti colpevoli di avere fatto parte del mandamento di Brancaccio.

La Corte di appello ha dichiarato nullo il decreto che aveva disposto il giudizio e ordinato l’immediata scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare.

Ecco le condanne annullate: Giovanni Lucchese (aveva avuto 17 anni), il boss che si era pentito di essersi pentito, Giuseppe Caserta (18 anni), Pietro Clemente (2 anni), Claudio D’Amore (17 anni), Cosimo Geloso (16 anni), Marcello La Cara (un anno e otto mesi), Tiziana Li Causi (un anno e sei mesi), Bruno Mazzara (due anni e due mesi), Vincenzo Passantino e Salvatore Scaffidi (sei mesi ciascuno), Michele Rubino (8 mesi), Francesco Paolo Saladino (2 anni), Maurizio Stassi (un anno e sei mesi), Francesco Tarantino (un anno e sei mesi), Vincenzo Vella (20 anni in continuazione con precedenti condanne). I detenuti erano coloro che avevano le pene più pesanti.

Erano difesi, tra gli altri, dagli avvocati Antonio Turrisi, Tommaso De Lisi, Guido Galipò, Rita Maccagnano, Marco Martorana, Salvo Priola, Corrado Sinatra, Giacomo Cannizzo, Anna Lisa Abbate.

Il blitz scattò nel 2017. Le indagini della squadra mobile e del Gico della Finanza, coordinati dalla Dda di Palermo, piazzavano al vertice del mandamento Pietro Tagliavia che è stato condannato con il rito abbreviato a 14 anni. Sotto accusa anche i presunti prestanome del clan, imputati di intestazione fittizia di beni.

Secondo l’accusa, Tagliavia comandava un piccolo esercito mentre si trovava detenuto agli arresti domiciliari. Si tratta del figlio di Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via de’ Georgofili a Firenze. Nessun rischio scarcerazione per lui e per gli altri venti imputati condannati in un altro processo celebrato in abbreviato. Pietro Tagliava è stato condannato a 14 anni, ottenendo uno sconto per la scelta del rito.

Giovanni Johnny Lucchese, cognato di Pietro Tagliavia, fece marcia indietro dopo avere riempito i primi verbali. Deve avere pesato la decisione dei familiari di non seguirlo nella sua scelta. A cominciare dalla moglie, Rosalinda Tagliavia, che aveva rifiutato la protezione dei poliziotti.

Una dissociazione netta quella della donna, testimoniata dal diniego di consegnare i vestiti e gli orologi al cui marito teneva tanto. Anche Lucchese è un mafioso dal cognome illustre: è il figlio di Nino, che sconta un ergastolo ai domiciliari per motivi di salute, ma è anche nipote di Giuseppe Lucchese detto Lucchiseddu, uno dei killer fidati di Riina, condannato all’ergastolo per gli omicidi La Torre, Dalla Chiesa e Cassarà.

In primo grado i legali avevano sollevato la questione dell’incompatibilità del giudice per l’udienza preliminare perché aveva già firmato delle proroghe di intercettazioni. Il presidente della sezione Gip-Gup, sulla base di una corposa giurisprudenza, stabilì che non c’era incompatibilità e il primo processo poteva proseguire con lo stesso giudice. Ed in effetti è stata la Sezione Unite della Cassazione, lo scorso luglio, a dirimere la questione, dando ragione ai legali. Firmare una proroga di intercettazione significa comunque entrare nel merito delle questioni processuali.

La Corte, presieduta da Mario Fontana, ha stabilito che il processo deve ricominciare da capo, ordinando la scarcerazione. Visto l’allarme sociale e la gravità dei capi di imputazione ha applicato agli imputati il massimo previsto: obbligo di dimora a Palermo, obbligo di firma giornaliero in commissariato e divieto di uscire di casa dalle 20 alle 7 di mattina. Il processo è da rifare. E gli imputati lo seguiranno a piede libero. A Brancaccio c’è chi festeggia.


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