CATANIA – “La formulazione del capo di imputazione, che pur ha riguardato un arco di tempo vastissimo, è evanescente e in certo senso contraddittoria”. È uno dei punti della cosiddetta “sentenza Ciancio”, dal processo che vedeva imputato il potente imprenditore e editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo.
Ciancio, assolto con formula piena il 26 gennaio scorso, rispondeva della grave accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ora la sentenza è stata depositata. E il fatto, secondo il Tribunale di Catania, presieduto da Roberto Passalacqua, giudici estensori Chiara Raffiotta e Chiara Catalano, “non sussiste”.
Le accuse
Nelle conclusioni, scrivono i giudici che la contestazione mossa a Ciancio sarebbe stata “priva di riferimenti a condotte e fatti specifici” che potessero confermare l’ipotesi di reato. Tanto che gli episodi, l’accusa, li ha portati direttamente in aula “nel corso dell’istruttoria dibattimentale, attraverso la raccolta dei vari temi di prova”.
Se mai l’accusa avesse provato la disponibilità di Ciancio a collaborare con il clan Santapaola, spiegano ancora i giudici, allora l’accusa sarebbe dovuta essere diversa. Se davvero “fosse stata provata tale messa a disposizione, proprio perché diffusa e permanente nel tempo, avrebbe semmai integrato gli estremi del delitto di partecipazione all’associazione mafiosa”. Ma così non è stato.
La linea editoriale
“Anche i fatti specifici esaminati nel corso del dibattimento ed in cui, secondo la Pubblica Accusa, si sarebbe estrinsecato il contributo prestato dall’imputato in favore di Cosa Nostra catanese – si legge ancora nella sentenza – non sono risultati pienamente dimostrati né comunque dimostrativi dell’esistenza di un rapporto sinallagmatico dall’imputato con Cosa Nostra, tale da produrre vantaggi e utilità per entrambi”.
I giudici poi scrivono qualcosa anche in relazione a uno degli assunti più controversi dell’accusa, le contestazioni mosse a uno dei più importanti editori d’Italia, come il proprietario e storico direttore de La Sicilia, proprio in relazione alla sua linea editoriale. Una linea che, peraltro, non ha mai fatto sconti alle organizzazioni criminali. Per i giudici quella linea sarebbe stata “morbida”.
“Quanto alla linea editoriale – scrivono ancora i giudici – le condotte poste in essere dall’imputato sono apparse dimostrative di una elevata attitudine ed una spiccata inclinazione del Ciancio nell’esercizio dell’ampio potere finanziario, economico e di informazione detenuto ad adottare soluzioni diplomatiche, volte a evitare di crearsi inimicizie o di alimentare contrasti, sia con i poteri forti, che con le istituzioni e con la stessa criminalità organizzata”.
Cosa Nostra catanese
“Quanto ai rapporti con Cosa Nostra catanese (dell’imputato assolto, ndr.) – prosegue la sentenza – dal racconto dei collaboratori di giustizia è emersa una vicinanza o contiguità dell’imputato ad esponenti di vertice di Cosa Nostra, ma come è noto, secondo interpretazione consolidata e univoca della giurisprudenza di legittimità anche recentissima, tanto non è sufficiente a integrare il delitto in questione”.