Bagno di folla per Contrada:| "Sono stato l'agnello sacrificale" - Live Sicilia

Bagno di folla per Contrada:| “Sono stato l’agnello sacrificale”

Prima uscita pubblica a Palermo per Bruno Contrada dopo aver scontato la pena a cui è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Per lui un bagno di folla contraddistinto da tanto affetto e da un enorme rispetto tributatogli dai suoi uomini. E a Livesicilia dice: "Mi sono sentito l'agnello scarificale, ma è un pensiero che scaccio via".

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Felice Cavallaro, Bruno Contrada e Michele Costa

PALERMO – Erano tutti lì per lui, alla sua prima uscita pubblica a Palermo dopo aver scontato la pena di dieci anni a cui è stato condannato definitivamente dopo un processo durato ben 13 anni. Lui è Bruno Contrada e nella sala eventi del “Mondadori multicenter” c’è il suo popolo. Lo cercano, si avvicinano con deferenza, alcuni lo abbracciano e c’è anche chi gli ha portato un regalo di Natale in anticipo. Qualcuno gli aggiusta un ciuffo di capelli e gli raddrizza gli occhiali, mossi dalla calca di persone che vuole scambiare anche una sola parola dopo tanti anni. Il pretesto è la presentazione del libro scritto con la giornalista di Sky tg24, Letizia Leviti, “La mia prigione” edito da Marsilio. Ma sono tutti lì per lui, ex collaboratori, alla polizia e al Sisde, gente comune, vecchie conoscenze.

L’incontro viene introdotto da Felice Cavallaro, corrispondente del Corriere della Sera, che non nasconde la sua contrarietà alla vicenda giudiziaria che ha riguardato l’ex 007, parlando di “imputazione infamante” e di “onore infamato”. Gli fa eco l’avvocato Michele Costa, figlio del fu procuratore capo di Palermo Gaetano, che critica aspramente la gestione del caso Contrada da parte dei magistrati di Palermo. Contrada ascolta attentamente, per un paio di volte gli scivola via il bastone su cui si regge, e poi arriva il suo turno.

Cala il silenzio in sala e, a dispetto di un’immagine che appare fragile e vetusta, Contrada parla con piglio deciso, scandisce frasi che arrivano come tuoni all’auditorio. “Sono qui per ricambiare i sentimenti di amicizia, solidarietà e affetto che avete mostrato nei miei confronti – dice – sentimenti fraterni dei miei collaboratori, tanto nella polizia di Stato quanto nei servizi, istituzioni che mi onoro di aver servito fedelmente. Uomini con cui abbiamo difeso la libertà, la democrazia e l’ordine di questa nazione”.

Non sono qui perché cerco giustizia – prosegue Contrada che si mette in piedi – ormai sul mio caso è stata messa una pietra tombale. Ma quella che chiamano Suprema corte, per me è solo la Cassazione, perché la vera Suprema corte non è di questa terra. Io sono qui – riprende Contrada – per una speranza di verità. Per far conoscere, a chi la vuole conoscere, perché sono molti a non volerla conoscere, la verità dei fatti. Nel libro non ho potuto narrare tutta la mia vicenda giudiziaria, perché altrimenti ci sarebbe voluta una nuova enciclopedia Treccani”, dice, inducendo una risata sommessa nel pubblico.

Io ho rispettato la sentenza – conclude Contrada – ma da libero cittadino si ha anche il diritto di criticarla. Non si deve accettare come fosse il Vangelo”. Dalla prima fila una donna esprime la sua stima nei suoi confronti e lui, senza scomporsi, dice: “Non ho la presunzione di meritare la stima di tutti, ma adesso devo fermarmi prima di commuovermi, sapete ormai ho una certa età”. Ma è ormai troppo tardi, i suoi occhi sono già diventati lucidi mentre dal pubblico si alza un applauso scrosciante, quasi liberatorio.

Il giornalista Felice Cavallaro, però, taglia corto ed esclude eventuali domande. Attorno a Contrada si forma la calca. La gente allunga la mano anche solo per stringergliela, lo baciano, lo abbracciano, tutti hanno un aneddoto da ricordare e da far ricordare a Contrada. Accanto a lui una pila di libri su cui apporre la sua dedica. Il cronista riesce, infine, a farsi strada per porre anche una sola domanda, sotto la sguardo attento di tutti, sembra nessuno voglia che si rovini la festa. “Lei non crede che, in un certo senso, lei abbia pagato per tutti? Per un intero sistema che si rapportava con la mafia?” la domanda. “Sì – risponde Contrada – mi sono spesso trovato in questa posizione, ma la scaccio via subito. Non posso pensare che si emettano sentenze in nome del popolo italiano solo per mettere sul banco l’agnello sacrificale, che sarei io”.


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