L'amore dei padri e il Codice Saguto - Live Sicilia

L’amore dei padri e il Codice Saguto

L'intercettazione presunta sui figli di Borsellino, che ha coinvolto il giudice Saguto, pone un interrogativo vecchio quanto il mondo e quanto Amleto. Fino a quando si può piangere per la morte di un padre?

Borsellino, le intercettazioni
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Mio padre morì che avevo diciassette anni. Non fu il tritolo mafioso a toglierlo di mezzo, ma la lupara di una malattia che sparò la sua rosa di proiettili. Molti anni sono dunque passati, eppure, se mi capita di pensare a lui, a mio padre Antonino – anche se non si chiamava Paolo e di cognome non faceva Borsellino – qualche volta piango.

Si può piangere in due modi, con lo sfogo liquido di una lacrima: se sei da solo la raccogli, come fosse qualcosa di prezioso. Se sei in compagnia, poiché gli altri non comprenderebbero, devi inventarti un diversivo. Io faccio finta di starnutire: lo so, non è molto originale. Oppure le lacrime le inghiotti, le spargi dentro. E vai avanti.

Però, forse, non si potrebbe alla luce del bon ton che un giudice sotto inchiesta per una storia di beni confiscati – un almanacco del dolore che sarà probabilmente intitolato ‘Il Codice Saguto’ – avrebbe tracciato secondo immancabile e presunta intercettazione: “Poi Manfredi Borsellino che si commuove, ma perché mi…a ti commuovi a 43 anni per un padre che è morto 23 anni fa? Che figura fai? Ma che… dov’è uno.. le palle ci vogliono. Parlava di sua sorella e si commuoveva, ma vaff….o”. Dice, quel magistrato, che sono lacerti di frasi estrapolate da contesti più allargati. Sarà, però non si comprende cosa un’eventuale interpolazione aggiungerebbe o toglierebbe al tema proposto. Che è serissimo, profondo, legato all’umanità stessa, perché cela un interrogativo irrisolto.

Fino a quando è lecito piangere, fino a che punto è giusto portare la livrea del dolore? Amleto viene ammonito dallo zio Claudio, che pure gli ha assassinato il genitore, per via di un cruccio prorogato oltre le usanze: “È dolce e commendevole, Amleto, in te, il rendere a tuo padre tutto questo tributo di cordoglio; dovresti pur sapere tuttavia che tuo padre perdette anch’egli un padre, e quel padre perdette anch’egli il suo. È obbligo filiale del superstite manifestare per un certo tempo tutto il proprio cordoglio. Ma incaponirsi in un lutto ostinato è atteggiamento d’empia testardaggine”.

Un testo letterariamente più pregiato del presunto colloquio preso al laccio che rappresenta il medesimo ferro di lancia concettuale avverso gli sfoghi del cuore a scoppio ritardato. Si tratta pur sempre di vecchie ferite, come rinnovato è il balzo che libera il pianto dalla sua crosta di sale, magari contro il decoro dell’età adulta, perfino contro il cielo che non ama il nero quando diventa perenne.

E’ che i padri, anche da morti, non smettono di farti visita, siano essi eroi della nazione trucidati per amore della giustizia, siano essi professori di lettere estirpati dalla siepe di gelsomini che amarono. Si nascondono nel dettaglio, in uno sguardo estraneo, in un dopobarba, in un profumo che non dovrebbe essere lì. Ma c’è: e mentre ti guardi intorno, mentre cerchi un abbraccio insperato, mentre ti chiedi perché, ecco che si può piangere. Più lungo è il tempo del distacco, più dolce sarà la lacrima nell’illusione del ricongiungimento.

 


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