CATANIA – C’è stato un momento in cui in effetti Catania ha potuto giocarsela. In cui molti, dall’amministrazione comunale ai lavoratori, hanno creduto che ai piedi dell’Etna potesse arrivare un altro gigante dei semiconduttori, con l’installazione di un nuovo impianto Intel. Ma questo momento di possibilità, se mai c’è stato, si è chiuso molto in fretta, probabilmente già alla fine dell’anno scorso, ed è durato poco, troppo poco. Tutto quello che è stato detto e fatto da allora non ha avuto alcuna rilevanza nel cambiare un percorso industriale che da tempo si è separato dalla Sicilia e si sta definendo in questi giorni, con l’accordo sulla nuova megafabbrica e sul suo sito in arrivo prima delle elezioni del 25 settembre.
L’impianto
Partiamo dalla fine, ovvero dalla notizia, riportata da Reuters, che le trattative tra Intel e governo per l’installazione di un impianto in Italia sono in dirittura d’arrivo. Secondo le fonti dell’agenzia, l’investimento da 4,5 miliardi di euro, di cui il 40 per cento di competenza del governo, si sbloccherà nel giro di un mese. Ancora da scegliere il sito, ma le regioni rimaste in lizza sarebbero il Veneto e il Piemonte.
L’investimento di Intel riguarda un enorme piano di espansione in Europa, attraverso cui il colosso dei chip intende ampliare la produzione e sottrarre quote di mercato all’Asia. La parte del leone, nella partita per i chip europei, l’ha fatta la Germania: 17 miliardi e due impianti di produzione. All’italia toccano, come detto, meno di un terzo dei soldi e un impianto di back-end, ovvero tutto quello che succede dopo la produzione dei chip. Una fase importantissima, che riguarda l’ulteriore lavorazione dei semiconduttori e il packaging.
La candidatura
La notizia diffusa dall’agenzia Reuters ha di fatto reso ufficiale l’esclusione della Sicilia dalla rosa delle regioni che avrebbero potuto ospitare la fabbrica Intel, scatenando le reazioni dei sindacati. Catania si era candidata come possibile sito, ma è probabile che fosse uscita dalla competizione molto presto, e comunque molto prima del luglio 2022.
Ricostruendo la vicenda tappa dopo tappa, circa un anno fa Intel manifesta il suo interesse per la ricerca di un sito in Italia per la costruzione della sua nuova fabbrica, e il governo avvia la raccolta delle candidature, ovvero di dossier e documentazione tecnica sui luoghi in cui sarebbe possibile costruire l’impianto. Catania offre la sua zona industriale, con un radicamento già molto forte dell’industria dei semiconduttori e vicina a aeroporto, autostrada e porto.
I terreni
Nel frattempo iniziano a correre le voci sull’esclusione della Sicilia: il ministro leghista dello sviluppo Giancarlo Giorgetti viene accusato di favorire Mirafiori, e tutto il ceto politico regionale insorge compatto in nome della dignità del meridione. Uno su tutti il presidente della Regione Nello Musumeci, che rilascia un comunicato in cui dice che “a decidere non può essere la solita logica che privilegia il Nord a discapito del Sud”.
Il dossier però arriva troppo tardi al Ministero dello sviluppo economico, su stessa ammissione della Regione, secondo quanto riferisce Repubblica. Non solo, ma in quel dossier presentato il 2 dicembre 2021 i terreni dell’Irap destinati al nuovo impianto ammontano a 50 ettari quando Intel ne chiede 160, e soprattutto sono frazionati, non sono un’area unica.
Uno spezzatino che spinge la Regione ad approvare, i primi di gennaio, una riforma dell’Irap che permette l’accorpamento delle aree industriali. L’assessore alle attività produttive Mimmo Turano in quell’occasione fece riferimento proprio all’Intel: “È proprio la nuova legge ad aprire gli spiragli logici e offrire gli strumenti normativi per il grande investimento di Intel in Sicilia”. E aveva rassicurato, parlando con Livesicilia: “I giochi sono più che riaperti. Abbiamo mandato una nota al Mise nella quale spieghiamo tutto ciò che stiamo facendo, dunque il dossier presentato dalla Regione è stato considerato più che in corsa”.
I sei mesi dell’illusione
Ma ecco come vanno le cose: Catania non doveva essere tanto in corsa se il 4 gennaio l’ufficio di gabinetto del ministro, come riferisce Repubblica, scrive a quello del presidente della Regione di non aver potuto sottoporre la proposta a Intel “in assenza del rispetto dei parametri”.
Nessuno però, da allora, ha mai detto che la possibilità era sfumata. Qualcosa trapelava dalle parole di amministratori regionali di altre regioni, come quando Alberto Cirio, presidente della Regione Piemone, disse di avere sottoscritto un patto di riservatezza con Intel, e citò tra le regioni ancora in corsa, la Lombardia, il Veneto e la Puglia. Non la Sicilia. E mentre i sindacati chiedevano chiarimenti a Turano, sentendosi rispondere che ancora non erano arrivate risposte, il mondo politico catanese si accapigliava sulle presunte discriminazioni subite dal sud. Senza sapere che, di fatto, la Sicilia era già fuori. Un chiarimento è arrivato solo ora, ma solo grazie a un’agenzia di stampa, e allo stesso Mise, che in una nota ha dichiarato di non seguire il dossier da mesi. Dal governo regionale si attende ancora una parola.