Comiche cianciminesche| Esilaranti acrobazie del pataccaro - Live Sicilia

Comiche cianciminesche| Esilaranti acrobazie del pataccaro

Massimo Ciancimino

Ecco perché Massimo Ciancimino è stato condannato a sei anni per calunnia.

PALERMO – Se non fosse una vicenda processuale, ci sarebbe da ridere. Siccome lo è, c’è da piangere. Massimo Ciancimino da nove lunghe anni conduce per mano i magistrati siciliani nei tortuosi percorsi della sua mente di dichiarante. Guai a chiamarlo collaboratore di giustizia. Una definizione che non gli è mai piaciuta.

È stato pure sentito nel corso delle indagini sulle stragi di mafia. Le stragi in cui sono stati massacrati uomini e donne, quelle che hanno dilaniato un intero paese. Delle strampalate dichiarazioni di Massimo Ciancminino si sarebbe volentieri fatto a meno. Non è andata così. Era giusto sondare ogni pista, si dirà. Oggi, però, ci si trova di fronte a una frattura insanabile. Mentre a Palermo Massimo Ciancimino è il testimone chiave, oltre che imputato, del processo sulla Trattativa Stato-mafia, a Caltanissetta, invece, due giorni fa lo hanno fatto condannare a sei anni per avere calunniato l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e l’agente segreto Lorenzo Narracci.

Ed è in questo processo che la stroncatura di Ciancimino jr si fa netta. Inappellabile, al di là dell’esito del giudizio di secondo grado che verrà. Va in frantumi tutto il suo percorso dichiarativo, per buona pace dei più inguaribili ottimisti. È vero, i pubblici ministeri di Caltanissetta avevano occhi e menti allenati dopo avere smascherato un altro pataccaro, Vincenzo Scarantino. Ciancimino jr, però, ha fatto tutto da solo. È bastato mettere in fila, una dopo l’altra, le dichiarazioni del super testimone. Un lavoraccio, visto che è stato interrogato più di cento volte. Cento verbali in cui ha detto tutto e il contrario di tutto, passati in rassegna anche dai legali di parte civile, gli avvocati Franco Coppi, Francesco Bertorotta, Michele La Forgia e Pietro Pistone. Accusa e parte civile hanno fatto un lavoro di squadra.

Più che una requisitoria è venuto fuori un copione da avanspettacolo giudiziario. Un copione che andrebbe appeso alla parete, magari al posto dell’immagine del Ciancimino “icona antimafia” disegnata dall’ormai ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Dopo avergli dato credito per anni, Ingroia fece marcia indietro, facendo arrestare per calunnia Ciancimino quando era già sotto inchiesta a Caltanissetta. Nel frattempo, però, hanno continuato ad interrogarlo e le sue dichiarazioni sono ormai l’ossatura processo sulla Trattativa.

Nel dibattimento nisseno sulla calunnia, chiuso con la condanna, c’è un convitato di pietra, il signor Franco, piazzato dall’architettura di Ciancimino a riempire ogni buco nero della storia italiana. Laddove c’è un mistero, spunta lui. Seguire il signor Franco, significa trovare una valanga di riscontri sulle fantasie del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo.

“A distanza di più di nove anni dall’inizio del percorso dichiarativo di Massimo Ciancimino, noi siamo qui ancora a chiederci – spiega uno sconsolato Luciani – chi sia questo soggetto, se abbia un nome, se abbia un volto, se esista, di quali soggetti si è avvalso, di che cosa si sia occupato, qual è l’ambito di operatività, che età ha”.

Il signor Franco è stato il colpo di teatro di Massimo Ciancimino, un testimone che tutti, nessuno escluso e giornalisti inclusi, si sono contesi. Si faceva a gara per accaparrarsi una sua dichiarazione. E lui è sempre stato molto, ma molto generoso. A tal punto da spingersi ad anticipare nei salotti televisivi appositamente allestiti o sui giornali ciò che avrebbe detto ai magistrati. Nel tempo ha perso l’appeal dei giorni migliori e oggi sconta in carcere la condanna per essersi portato della dinamite nel giardino di casa.

A Caltanissetta la pazienza l‘hanno persa quasi subito, decidendo di interrompere quello che Luciani definisce “uno stillicidio di dichiarazioni”. Non resta che riproporle, limitandosi ad aggiungere solo la collocazione temporale lungo il percorso dichiarativo. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo.

“Come si chiama questo signore?”, “Non me lo ricordo”, 29 gennaio 2008; “Carlo, Franco, Roberto”, 7 aprile 2008; “Franco”, 21 giugno 2008; “Carlo”, 23 gennaio 2009; “Carlo Franco”, 2 aprile del 2009. “Di dov’è?”, “Siciliano, ma con l’accento annacquato”, 15 maggio 2008; “Non era siciliano e credo risiedesse a Roma”, 15 maggio 2008; “Italiano, non aveva inflessioni dialettali né stranieri”, 4 agosto 2009.

E l’età? Nemmeno questa è certa. Il 4 agosto 2009 Ciancimino dice che il signor Franco aveva “54, 55 anni” quando è morto il padre, nel 2002. Meno di un anno dopo, febbraio 2010, la canaglia di Stato invecchia parecchio: ha 65, 70 anni al momento del funerale del padre.

Almeno Ciancimino saprà che faceva il signor Franco. Perché un lavoro di copertura doveva pur averlo: “Cercavo di capire se fosse agganciato alle istituzioni, ai poliziotti o ai servizi”, 15 maggio del 2008; “Era un soggetto stabile dell’entourage politico di mio padre”, 6 giugno 2008; “Non ho certezza che sia agganciato con le istituzioni”, 21 giugno del 2008; “Un uomo dei servizi”, 12 dicembre 2008; “È una mia deduzione che appartiene a contesti istituzionali”, 23 gennaio 2009; “È un anello di collegamento con i servizi, rappresentativo di altri servizi”, 30 marzo 2009; “Non era dei servizi, ma un ministeriale grosso”, 4 agosto 2009; “Ho saputo che era dei servizi e mio padre me l’ha confermato”, 1 febbraio 2010.

Il 12 febbraio del 2008 Ciancimino tira fuori la storia di una sim card sparita. O meglio, durante una perquisizione gli avevano sequestrato cinque telefonini. Quando glieli hanno restituiti, la sim card non c’era più. Peccato perché, così mette a verbale, “ci sono i contatti con Carlo Franco, fino a poco prima la morte di mio padre”. Il 18 maggio 2010 Ciancimino siede di nuovo davanti ai magistrati. È raggiante: “Guardate, a casa ho rinvenuto questo telefono, me l’aveva regalato mia moglie nel 2003, 2004, ad un certo punto prendo sto telefono, ci metto una sim, e guarda un po’ che trovo, trovo che io avevo trasferito tutti i numeri della sim card sul telefono, e quindi, signori, vi do i numeri del signor Carlo Franco”.

È fatta. I numeri sono registrati alla voce “Franc papà”, “FRGR barc”. “Barc”? Sì, come barca, perché quando il signor Franco si trovava a largo era meglio contattarlo a quel numero. Ed ancora: “Franco rispondi” e “Franco rispondi 2”, perché che se arriva la telefonata mica si può perdere tempo.

Deleghe di indagine, accertamenti, ricerche per scoprire che sulla barca non ci andava il signor Franco, ma un commercialista greco, Memos Agamennon, con cui Ciancimino aveva fatto affari nel 2006.

Andrà meglio con gli altri numeri. No. corrispondono ai centralini del Vaticano e dell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma “facilmente reperibili su Internet”. Il pm Luciani perde la pazienza: “Cioè, mi perdoni, ma questo lo devo dire, cioè Carlo Franco col cellulare, o in ufficio, alzava il telefono: ‘Centralino, per favore mi fa il numero di Massimo Ciancimino?’”.

Non si conosce l’identità del signor Franco, che lavoro di copertura faccesse, da quali numeri telefonici contattasse Ciancimino padre e figlio per avvisarli di indagini a loro carico. Restano le fotografie. Almeno sul volto ci dovrebbero essere delle certezze. Il 12 aprile del 2010, mentre tutti sono impegnati a cercare il signor Carlo Franco, Ciancimino dice: “Guardate, io custodisco gelosamente una copia di una rivista che si chiama Parioli Pocket, forse del 2000, dove c’è la foto di Carlo Franco nel contesto di un articolo che riguarda una festa all’ambasciata americana”.

Si confonde. Prima è “l’uomo in giacca e cravatta, con occhiali, dietro Gianni Letta”. Poi, diventa “quello alla sinistra di Bruno Vespa”. Meglio verificare chi siano entrambi. Il primo è Gianni Oliosi, responsabile dell’ufficio stampa di Bmw Italia, l’organizzatore della festa ai Parioli. Fuori uno. C’è sempre quello alla sinistra di Vespa. Neppure, visto che si tratta di Pierluigi Magnaschi, allora direttore dell’Ansa.

Andrà meglio con la fotografia numero 2. Perché di foto Ciancimino ne consegna un’altra, scattata con le sue mani mentre vedeva passare il tv il signor Franco. “È lui, è lui”, avrà pensato il super testimone guardano l’immagine del distinto signore accanto all’ex premier Mario Monti e all’ex presidente del Senato Renato Schifani. Era Ugo Zampetti segretario generale del Quirinale e della Camera dei Deputati. Zampetti lo ha querelato e la Procura di Palermo ora ha aperto un’inchiesta. Mentre alcuni pm utilizzano le accuse di Ciancimino al processo sulla Trattativa, altri loro colleghi lo incriminano. A proposito del processo che si celebra in Corte d’assise a Palermo: il 5 settembre 2016 Ciancimino dice che mai ha avuto certezza di avere identificato Carlo Franco nelle foto mostrate da Palermo e Caltanissetta.

Oliosi, Magnaschi, Zampetti. Quando Carlo diventa Gianni De Gennaro? Tutto inizia l’11 febbraio del 2010. Massimo Ciancimino durante un interrogatorio dice: “Guardate, fra i vari soggetti che conoscono Carlo Franco c’è anche il dottore De Gennaro”. Nel frattempo in un’intercettazione aggiunge che “andavamo alle feste in Vaticano con Franco, eh? Al ministero, l’ho visto più volte dall’ambasciata, l’ambasciata americana verso la Santa Sede”. Dettagli di colore.

Il 15 giugno 2010 Ciancimino consegna il famoso documento taroccato che scrisse sotto dettatura del padre negli anni Novanta. C’è una lista di nomi, gente a disposizione di don Vito, compreso quello di Carlo Franco. Il padre lo aveva annotato come “FCgross, quello è Carlo Franco”. Fu lui a chiedere “papà, ma chi è sto Carlo Franco? Dimmelo una volta per tutte”. E il padre in sua presenza cerchiò il nome “Fcgross”, scrisse il nome De Gennaro e tracciò una linea: “Sono collegati, mi sono scordato di scrivere il nome De Gennaro e te lo scrivo ora”. Ciancimino avrebbe presto smentito se stesso in aula al processo contro il generale Mario Mori, poi assolto defintivamente. “Non ho un ricordo preciso del fatto che mio padre scrisse il nome di De Gennaro”. È chi è stato? Mister x, il puparo che muove i fili. Gli fece avere una fotocopia del vecchio documento del padre su cui spuntò il nome De Gennaro. L’esame della polizia scientifica ha dimostrato che era un pacchiano ritocco con Photoshop. “Quel documento è inequivocabilmente un falso, è certamente un falso ed è un falso prodotto da Massimo Ciancimino – dice Luciani – perché tutti gli sforzi fatti per riscontrare le sue dichiarazioni sull’origine di questo documento sono stati sforzi vani e ancora una volta hanno smentito le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sul punto”.

Altro giro, altra raffica. Carlo Franco è o non è De Gennaro? Nell’interrogatorio del 4 agosto 2009: “Carlo Franco è uno grosso”; “Deduco che Carlo Franco sia De Gennaro. Che Carlo Franco conoscesse De Gennaro”, 11 febbraio 2010; “Carlo Franco è più pericoloso dei mafiosi e superiore a De Gennaro”, ancora 11 febbraio 2010; “Carlo Franco è il quarto livello”, intercettazione del 22 marzo 2010; “Carlo Franco è in compagnia di Gianni Letta e De Gennaro a passeggio a via del Tritone, sono molto amici”, 8 aprile 2010, ; “Carlo Franco è Gross”, 15 giugno 2010, giorno in cui consegna il documento; “Carlo Franco è De Gennaro”, 13 settembre 2010; “Sì, Carlo Franco è Gross”, 28 settembre 2010. E via dicendo, fino al 9 luglio 2014, quando Carlo Franco diventa l’ambasciatore di De Gennaro, l’intermediario tra il padre e De Gennaro. “Per questo le dico, giudice, – chiede Luciani – lei in sentenza mi dovrà scrivere De Gennaro se è Carlo Franco o se è l’ambasciatore, o se è il mittente della posta spedita tramite Carlo Franco”.

Nel famoso documento taroccato c’è scritto anche “Elle Narracci”. Nessun dubbio da parte di Massimo Ciancimino: “Lorenzo Narracci è il signore emissario di Franco Franco Carlo, che faceva da intermediario con mio padre in carcere e a casa”. Il 27 ottobre 2010 il testimone viene convocato dai pm di Caltanissetta. Riconosce Narracci in Marco Traversa, un appuntato dei carabinieri.

“Lei ce lo ha in atti, giudice. Io La prego di guardarlo. So che l’ha già guardato. La prego di riguardarlo, perché Massimo Ciancimino – Luciani si scalda – riconosce un signore più basso di me, pelato e con gli occhiali. Un minuto dopo questo riconoscimento mettiamo a confronto il signor Massimo Ciancimino e il dottor Narracci. Un minuto dopo gli chiediamo: ‘Allora è lui?’, “È certo che è lui”.

Le parole successive del pm sono il degno finale del copione da avanspettacolo: “No, giudice, qui non è incoerenza dichiarativa, perdonatemi, qui non è la pressione del momento, qui non è che mi hanno detto: sono due. Devi scegliere, non è “Rischiatutto”, non è “Lascia o Raddoppia”. Sipario.


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