Clan Laudani, la morte del boss e gli assetti al vertice- Live Sicilia

Clan Laudani, la morte del boss e gli assetti al vertice

Il blitz Vicerè del 2016 ha colpito al cuore la cosca. I pentiti raccontano cosa è accaduto dopo.
MAFIA CATANIA
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La morte del boss Alfio Laudani nel carcere di Opera, anticipata da LiveSicilia, ha puntato nuovamente i riflettori sul clan dei Mussi i Ficurinia. Sono diversi anni che i vertici della famiglia mafiosa – che dal quartiere catanese di Canalicchio ha ramificato il suo potere criminale in tutta la provincia etnea fino al Calatino – non sono al centro di un’inchiesta antimafia. C’è stata l’operazione Report della Guardia di Finanza che però aveva il suo centro nevralgico nella zona acese (e Mascalucia) con Orazio Scuto ‘u vitraru che stava cercando di rimettere in piedi i pezzi dopo il duro colpo subito dagli arresti del 2016, con il blitz dei blitz Vicerè. Così come ci sono state indagini dei carabinieri di Giarre che hanno disarticolato la cellula jonica. Ma guardando alle contestazioni la fotografia criminale rimane ferma ad almeno un lustro fa. 

E allora cosa sta accadendo all’interno della famiglia mafiosa creata dal patriarca Sebastiano Laudani, morto nel 2017? Anche quella è una data fondamentale negli assetti di potere all’interno della cosca catanese. Inchieste parallele, verbali di pentiti acquisiti in questi ultimi anni, intercettazioni che toccano (anche se indirettamente) i ‘Mussi’: si delinea un quadro che porta lo scettro del potere sempre nelle mani della famiglia di sangue. L’adranita Salvatore Giarrizzo (reggente del clan Scalisi, alleati storici dei Laudani) e Sebastiano Spampinato (storico soldato dei Laudani) fanno un nome preciso: Sebastiano Laudani (‘u nicu, nato nel 1983), per distinguerlo dal cugino (‘u ranni, classe 1969).

Lui è il figlio di Santo ucciso nel famoso agguato della macelleria a Canalicchio nel 1990 e di Mariella Scuderi, la madrina condannata nel processo Vicerè. Ma nello stesso processo (il piccolo) Sebastiano Laudani è stato assolto. Un’assoluzione confermata dalla Cassazione. La contestazione fa riferimento al periodo precedente al 2013. E ricordiamoci che Iano Laudani nel 2009 è stato trovato dai carabinieri seduto allo stesso tavolo della cupola di Cosa nostra catanese. Era nella villetta di Belpasso dove Santo La Causa, ex reggente dei Santapaola-Ercolano, aveva riunito tutti i boss per pianificare la strategia contro i Cappello-Carateddi di Iano Lo Giudice e Orazio Privitera. Quindi Iano Laudani, ‘u nico’, il ruolo di capo lo ha ricoperto in passato. Se cosi non fosse stato il capomafia non lo avrebbe messo attorno allo stesso tavolo di boss del calibro di Vincenzo Aiello e Carmelo Puglisi

Ultimamente Iano Laudani è tirato in ballo da Salvatore Giarrizzo, che ai pm catanesi ha raccontato che per risolvere la guerra per lo spaccio con i Lo Cicero ad Adrano (cellula dei Mazzei) si è dovuto rivolgere direttamente ai suoi capi a Catania. I verbali sono di due anni fa. “Io allora andai a parlare con Iano Laudani responsabile del mio clan a Catania”. Per dirimere le frizioni, il boss di sangue avrebbe convocato una riunione con i vertici dei Mazzei di Catania. Quindi un incontro alla pari.

Il summit si sarebbe svolto in una casa diroccata a Canalicchio, storica roccaforte dei Laudani. “Ci fu una riunione alla quale anche io partecipai”. Che si parli di Iano Laudani il piccolo è chiaro in un passaggio dei verbali:  “Vi erano Iano Laudani, Gaetano detto u funciutu (dei Mazzei), Luca Pappalardo (detto Pitbull), Franco detto ‘la scimmia’ (Guglielmino), Santo Laudani fratello di Iano e un altro che accompagnava Gaetano detto u funciutu”. Sebastiano Laudani infatti ha un fratello di nome Santo (come il padre ammazzato), a differenza di quello del cugino omonimo (figlio di Pippo, il gemello di Alfio deceduto) che si chiama Concetto.

Del ruolo di ‘comando’ di Sebastiano Laudani (classe ’83) ha fatto cenno anche Sebastiano Spampinato. Però le sue rivelazioni si fermano al 2017. Anno in cui avrebbero mantenuto un rapporto epistolare con il rampollo della famiglia mafiosa. “Le lettere sono in possesso della Procura”, ha spiegato durante un’udienza del processo d’appello Vicerè. Input che sicuramente sono stati – e sono – oggetto di riscontro degli investigatori etnei. E che non fanno dormire sonni tranquilli ai vertici del clan Laudani. 


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