Cosa direbbe Giovanni Falcone? È un ritornello tra i più diffusi, che torna periodicamente ad ogni paventata riforma della giustizia, ad ogni nuova indagine sulle stragi, o dopo uno scoop giornalistico.
La memoria non è uno strumento neutro. Riguarda l’identità di ciascuno e la proiezione di questa nel dibattito pubblico. Il tentativo di appropriarsi della memoria di Falcone, facendone la bandiera di una parte politica, non è recente.
Il magistrato ucciso dalla mafia subisce un destino simile a quello che era costretto ad affrontare durante la sua carriera, quando veniva etichettato, di volta in volta, come comunista, socialista o andreottiano da chi lo accusava di usare le sue inchieste per fini politici.
La sua morte non è stata vana
È scontato dirlo oggi, ma Giovanni Falcone era prima di tutto un servitore dello Stato, convinto che la mafia poteva essere sconfitta solo con il concorso delle forze migliori delle istituzioni. La sua morte, insieme a quella di Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro Vito Schifani e degli altri martiri di quella stagione tragica, non è stata vana, proprio perché ha lasciato un’eredità di acquisizioni sul piano della lotta alla criminalità organizzata che non è andata dispersa.
La mafia è un fenomeno serio, non si stancava di ricordare, e oggi viene affrontata seriamente, cioè con professionalità ed efficienza, da magistrati e uomini delle forze dell’ordine. Questo non significa che Cosa nostra sia stata debellata, ma è certamente indebolita e con una presa sul territorio notevolmente inferiore rispetto all’epoca corleonese.
Al tempo stesso, il magistrato distingueva tra mentalità mafiosa e organizzazione mafiosa. Se sul versante repressivo Cosa nostra ha subito colpi durissimi, rimane il nodo di una mentalità diffusa, che significa anche consenso presso larghe fasce della popolazione e capacità reclutare nuovi quadri dirigenti.
Vecchia e nuova mafia
Le ultime indagini della Procura di Palermo hanno mostrato, insieme al reinserimento dei vecchi capi scarcerati, il coinvolgimento di giovani e giovanissimi nei traffici criminali più lucrosi. La recente strage di Monreale, al di là di quanto accerteranno le indagini in corso, dimostra una straordinaria diffusione delle armi e la disponibilità ad usarle. La mentalità mafiosa si nutre del culto della violenza. Come sconfiggerla?
Su questo versante, le principali agenzie educative, la scuola, le istituzioni laiche e religiose, svolgono un lavoro straordinario, ma occorre sostenere maggiormente quanti lavorano in condizioni difficili in tanti quartieri di periferia.
Si deve fare di più
È inutile nascondercelo: occorre fare di più. Deve fare di più la Chiesa sul piano educativo, con le sue parrocchie, ma anche con i movimenti e con le associazioni che ad essa si ispirano.
Deve fare di più la società civile, per debellare la perdurante presenza di esponenti della cosiddetta borghesia mafiosa, disponibili a compromessi di ogni tipo con Cosa nostra in nome del facile guadagno.
Deve fare di più la politica, per recidere ogni legame sospetto prima che arrivino le inchieste giudiziarie, ma anche per promuovere una visione solidale delle nostre città, senza lasciar crescere ghetti in cui la mafia si propone facilmente come alternativa ad uno Stato lontano.
Cosa direbbe Giovanni Falcone?
Una classe dirigente lungimirante dovrebbe ragionare sui dati riportati nell’ultimo rapporto Istat: “l’abbandono degli studi, prima del completamento del percorso di istruzione e formazione secondario superiore riguarda il 12,4 per cento dei 18-24enni nel Mezzogiorno, l’8,4 per cento al Nord e l’8,0 per cento nel Centro”.
Non so cosa direbbe Giovanni Falcone davanti alla Sicilia di oggi, ma so che non cercherebbe alibi per dismettere un impegno serio, cioè concreto ed efficace, nello sforzo di realizzare la sua lucida visione: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e avrà una fine”.