Catania, Covid: ambulanze in fila e operatori stremati - Live Sicilia

Catania, Covid: ambulanze in fila e operatori stremati

Le file di ambulanze, gli interventi sul territorio: colloquio con Isabella Bartoli, dirigente della centrale operativa
LA PRIMA LINEA DEL 118
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CATANIA – Tutte le trincee sono faticose, ma quella della lotta al Covid, fatta dai sanitari e dagli ambulanzieri che fanno parte del sistema di soccorso rapido, somiglia a quella di una guerra di logoramento. La crescita dei contagi delle ultime settimane, con i reparti al limite della capienza, hanno richiesto un impegno extra alla centrale del 118 di Catania, tra lunghissimi turni bardati, file per accompagnare i pazienti in pronto soccorso e tutti gli altri casi non Covid, ovvero i politraumi e gli altri interventi che gli uomini e le donne del 118 devono portare avanti già in tempi normali, senza una pandemia di mezzo. Tra difficoltà e speranze, un colloquio con Isabella Bartoli, che dirige il 118 di Catania.

Le ultime tre settimane

Il perno del dispositivo di soccorso etneo è la centrale operativa del 118 di Catania, la più grande della Sicilia per bacino d’utenza, che ha competenze anche sui territori di Ragusa e Siracusa e in questo periodo effettua fino a 700 interventi al giorno. “Non sappiamo come dividerci – dice Bartoli – dato che le chiamate negli ultimi giorni sono tantissime. Il Covid ha aggiunto un ulteriore livello di pressione al lavoro che già facevamo normalmente, perché adesso prima di un intervento l’equipaggio deve essere coperto con i dispositivi di protezione nel caso il paziente risulti infetto da Covid. E poi, dopo l’intervento, tutti i mezzi e le attrezzature devono essere sanificate. Considerando che sono due anni che le cose vanno avanti in questo modo, siamo provati”.

La situazione delle ultime settimane è quella di un aumento esponenziale di casi, e al crescere dei numeri aumentano i casi più gravi: “Sono quasi tutti non vaccinati, purtroppo – dice Bartoli – abbiamo visto crescere il numero di richieste di intervento già da prima di Natale ma poi c’è stata una vera e propria impennata per le feste“.

Le chiamate

A chiamare il 118 sono persone che vivono un’emergenza, ma c’è anche chi chiama un’ambulanza perché è terrorizzato e si fa prendere dal panico: “Molti pazienti – racconta Bartoli – chiamano perché hanno paura dei sintomi. Se possiamo, quando sentiamo una persona in crisi che ha bisogno di aiuto mandiamo l’ambulanza perché è nostro dovere assistere tutti, ma questo causa grandi difficoltà al sistema d’emergenza, dato che poi si devono coordinare tutti gli interventi e cercare di rispondere a tutti”.

Quando poi un equipaggio prende in carico un paziente per portarlo al pronto soccorso si presentano altri problemi: “Ci sono stati i problemi per lo sbarellamento degli ultimi giorni, le file di ambulanze – dice Bartoli – e a questo si somma il fatto che, oltre ai pazienti Covid, dobbiamo continuare a occuparci di tutti gli altri interventi, i politraumi, gli incidenti, e che dobbiamo coordinarci con i pronto soccorso dei vari ospedali per l’accettazione di tutti questi pazienti”.

“Il punto – prosegue Bartoli – è che le risorse sono quelle che sono e se il sistema rallenta, a causa di un picco di contagi e delle difficoltà con lo sbarellamento, poi a soffrirne è il territorio. Stiamo facendo fronte a una pandemia, confrontandomi con i miei colleghi di altre regioni mi sono resa conto che anche altrove il sistema è messo parecchio sotto pressione, con le stesse scene di file di ambulanze e gli stessi problemi”.

I prossimi giorni

La speranza di Bartoli è che nel breve periodo le acque si calmino: “Siamo provati, ma ovviamente teniamo duro. Questo è un virus anomalo e l’unico modo di uscire da questa situazione è vaccinandoci tutti: le stesse previsioni sull’endemizzazione sono più una speranza, quello che dobbiamo fare è mettercela tutta e avere la collaborazione e la sinergia di tutti, sapendo che ciascuno ha le sue difficoltà”.


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