Crocetta sembra un pugile suonato | Ma nessuno getta la spugna - Live Sicilia

Crocetta sembra un pugile suonato | Ma nessuno getta la spugna

Doveva essere una riforma epocale, ma l'abolizione delle Province si è trasformata in una figuraccia. La maggioranza ha abbandonato il governatore nel momento decisivo. Mentre gli spot e i commissariamenti selvaggi hanno soltanto danneggiato i siciliani.

Il governatore in difficoltà
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PALERMO – E adesso non resta che trovare qualcuno disposto a lanciargli l’asciugamano. Rosario Crocetta è alle corde. Un pugile suonato, all’angolo. La sua maggioranza non c’è più. Lo ha abbandonato nella maniera più plateale, più grave. Si è defilata quando bisognava dare il “la”, con un ritardo imbarazzante alla legge sulle Province. L’epocale riforma che si è trasformata in una epocale figuraccia.

“Allucinante”, ha detto il governatore a caldo. E l’impressione è quella di sentire, quasi, un pugile che vede le stelle. Centrato in pieno quando meno se lo aspetta. Perché la storia, come spesso accade, anche nella drammaticità di un evidente fallimento, presenta aspetti comici, surreali. Proprio nei minuti in cui la sua maggioranza affossava il ddl sulle Province, il presidente della Regione diramava un comunicato stampa col quale dava conto di un incontro “fattivo” con gli alleati di Sicilia democratica, un gruppo “fortemente motivato – si leggeva nella nota del governatore – nel portare avanti l’azione riformatrice avviata che si concretizzerà in una prima fase, nell’approvazione del ddl sui liberi consorzi”. Il tempo di inviare la nota, e il ddl già non c’era più.

E insieme alla riforma, se ne va un altro pezzo di credibilità di un governatore che ha cambiato tre governi. Senza mai riuscire a produrre nulla di buono. Nemmeno con l’ultimo, l’esecutivo della “svolta”, di alto profilo, quello che finalmente avrebbe assicurato l’unità della maggioranza. Unità squagliata persino al debole sole primaverile. Mentre i leader del Pd, da Raciti a Gucciardi, chiedono un nuovo “vertice di maggioranza”. L’ennesimo, inconcludente vertice. Come accadeva in occasione del primo governo, quello della rivoluzione, e poi col “bis” e col “ter”.

Siamo sempre lì, insomma. A raccogliere i cocci. A pulire il tappeto dai guai periodici provocati da questi esecutivi. E ovviamente da chi li guida da due anni e mezzo. Anni in cui la pervicacia nelle scelte e la necessità di mettere in primo piano la propria immagine, lasciando sullo sfondo tutto il resto, ha finito per danneggiare, innanzitutto, i siciliani. Spot e scivoloni ovunque. Dalle sei finanziarie in due anni, dal centinaio di articoli bocciati dal Commissario dello Stato, dalle sentenze del Tar che hanno censurato il governo sul Muos e sul caso Humanitas, dalle difficoltà di chiudere i conti e la conseguente necessità di farsi commissariare dal governo Renzi, dalle riforme, rimaste sulla carta, dei rifiuti e dell’acqua, dalle macerie della Formazione professionale alle contraddizioni della Sanità. E solo come contorno, un partito di maggioranza (che sarebbe lo stesso del governatore) che, nel corso di questi mesi ha prima rinnegato i propri assessori (in prima fila, in quell’occasione, Giuseppe Lupo), poi ha definito quell’esecutivo un “governo di cemerieri” (stavolta Antonello Cracolici), quindi ha messo sotto tutela il governatore sui conti, inviando un “commissario” romano (Davide Faraone, con l’invio di Baccei). Schermaglie, giochi di potere anche questi, giocati sulla pelle dei siciliani.

Che, solo per restare all’interno della vicenda delle Province (che è solo uno dei grani di questo Rosario di disastri), si sono visti costretti a sopportare due anni di commissariamenti dannosi per i cittadini quanto utili al governatore. Utili a gestire con atteggiamento padronale o, meglio, attraverso quella che appare come un’occupazione militare, enti guidati nella maggior parte dei casi, nel bene e nel male, da presidenti eletti dai cittadini.

E invece Crocetta ha piazzato per mesi i suoi commissari. Oggi nella maggior parte dei casi, dirigenti generali a lui vicini, e persino il proprio capo di gabinetto. Ieri, addirittura Antonio Ingroia, una nomina che ha fatto saltare sulla sedia l’Autorità anticorruzione.

Tutto sulla pelle dei siciliani. Mentre si girava, sugli schermi nazionali, la “fiction” della riforma. Una finzione anche questa, come tante altre. Una rivoluzione costantemente rivelatasi una “controrivoluzione”. Un legame col passato definito “rottura”. Fallimenti venduti come successi. Un lento sprofondare spacciato come rinascita. Una impostura, una farsa. A suo modo simbolica, però. La “rivoluzione” di Crocetta iniziò con quell’annuncio: “Abbiamo abolito le Province”. Oggi la parabola si conclude con una sonora bocciatura a due anni da quel proclama. Il cerchio si è chiuso. Ma nessuno ha il coraggio, almeno per una volta, in due anni e mezzo, di pensare alla Sicilia. E di gettare quell’asciugamano.


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