Entra nel vivo il processo "Gotha" |Chiesti 48 anni ai boss dei Brunetto - Live Sicilia

Entra nel vivo il processo “Gotha” |Chiesti 48 anni ai boss dei Brunetto

Rito abbreviato per cinque imputati. Tutti i nomi, le accuse, le repliche.

palazzo di giustizia
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CATANIA. Sono complessivamente 48 gli anni di reclusione chiesti al Gup di Catania Alessandro Ricciardolo per i cinque presunti esponenti del clan Brunetto, tutti accusati di associazione di stampo mafioso. E’ entrato così nel vivo il processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione Gotha, condotta dai carabinieri della Compagnia di Giarre, che tra gennaio e novembre, con l’emissione di sei ordinanze di custodia cautelare in carcere, avrebbe consentito di decapitare la cosca legata alla famiglia Santapaola Ercolano, operante tra Fiumefreddo di Sicilia e i limitrofi comuni della fascia ionica.

E’ stato il pubblico ministero Valentina Sincero, in sostituzione del sostituto procuratore della Dda Assunta Musella, impegnata in un altro processo, a scandire in aula le richieste di pena, depositando la requisitoria scritta.

La condanna più severa, a 12 anni, è stata chiesta per Alfio Patanè, gravato da altri tre capi di imputazione, detenzione illegale di armi da sparo e munizioni, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti ed estorsione.

Per Salvatore Brunetto, fratello del boss Paolo deceduto nel giugno dello scorso anno, accusato anche di detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, è stata chiesta una condanna a 10 anni.

Chiesti, invece, 9 anni per Rosario Russo, ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan dopo la scomparsa di Sebastiano Patanè, e per Benedetto La Motta, considerato il referente a Riposto.

Infine il pm ha chiesto 8 anni per Pietro Carmelo Olivieri, per l’accusa punto di riferimento del clan a Giarre.

LA DIFESA. Ruoterebbe attorno alla trascrizione di un’intercettazione, erronea secondo il difensore di fiducia Ernesto Pino, la posizione di Pietro Carmelo Olivieri.

“Melo comanda Giarre”, captata nell’estate del 2012 nel corso delle indagini avviate dopo la scomparsa di Giorgio Curatolo, è la frase contestata dalla difesa.

Ad essere intercettato è il dialogo tra Giovanni Calì, in carcere da gennaio per associazione mafiosa nell’ambito dello stesso procedimento, e la compagna di Curatolo. E’ Calì a svelare alla donna l’organigramma del clan: “gli scagnozzi…hanno i quartieri….Melo comanda Giarre…Benito a Riposto, però è sempre la stessa famiglia…gli sciacquini siamo noialtri, poi ci sono gli scagnozzi”.

Ma quella frase, come già contestato davanti al Gip Giuliana Sammartino dai legali Ernesto Pino e Cristoforo Alessi, non sarebbe mai stata pronunciata.

Di quelle tre parole, per la difesa, a stento si sentirebbe il nome Melo.

Ma il pm Sincero, pur ammettendo l’assenza della parola “comanda”, ha difeso la tesi accusatoria. “Melo è pi Giarre”, sarebbe la frase pronunciata da Giovanni Calì. Una frase, secondo l’accusa, detta con un improvviso abbassamento del tono di voce per timore di essere ascoltato e inserita in una conversazione chiara ed univoca che faceva riferimento ai referenti del clan, zona per zona.

Per l’avvocato Pino si tratterebbe comunque non di un fatto ma di una deduzione.

Nel corso dell’udienza il file audio è stato ascoltato in aula dal Gup Ricciardolo, che quasi certamente disporrà una perizia sulla frase contestata.

Prima di chiedere l’assoluzione perché il fatto non sussiste, il difensore di fiducia ha anche sottolineato come in due sentenze passate in giudicato Pietro Carmelo Olivieri sia stato sempre individuato e identificato con il nomignolo “Carmeluccio”, mai di Melo. Quel nome, per il legale, non ricondurrebbe al proprio assistito.

Il 28 gennaio, quando proseguiranno le arringhe difensive, il Gup Ricciardolo si pronuncerà anche sulle istanze di scarcerazione presentate per Olivieri e Calì. Per entrambe, vista la gravità dei fatti contestati, il pm non ha prestato il consenso.

 

 

 

 


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