Fuga dal cerchio magico di Crocetta | Il presidente è (quasi) solo - Live Sicilia

Fuga dal cerchio magico di Crocetta | Il presidente è (quasi) solo

Antonio Fiumefreddo è solo l'ultimo tra i fedelissimi ad aver preso le distanze dal governatore. Altri, dalla Sanità alla Formazione, sono stati allontanati da qualche guaio giudiziario. Adesso dalla parte di Saro sono rimasti solo Patrizia Monterosso, lo spettro del default e la paura dei deputati regionali.

PALERMO – Chi era più vicino si è allontanato. Chi ha avuto a che fare con lui, gomito a gomito, ha preferito, alla fine, prenderne le distanze. Per calcolo o per convinzione. Come conseguenza della delusione o di un semplice ripensamento. Oggi, però, Rosario Crocetta è solo. Ha perso tutto. Il suo cerchio che una volta era magico, ha visto svanire l’incantesimo da pifferaio che teneva tutti in coda verso la rivoluzione. Al governatore è rimasto solo l’istinto di conservazione di novanta deputati e la paura di dichiarare bancarotta.

A uno a uno, però, se ne sono andati tutti. L’ultimo è Antonio Fiumefreddo, che con una intervista a Livesicilia ha deciso di segnare un solco netto tra sé e il presidente. Quel presidente che lo volle per due volte (quasi) assessore, che lo individuò come “uomo-chiave” della giunta dell’ennesimo rilancio, che per lui sfidò mezzo Pd, prima di metterlo a capo di una società strategica come Riscossione Sicilia. “Non ho mai pensato di entrare in quel governo” ha detto Fiumefreddo. E quello che fa più impressione è che, al di là del giudizio politico (“Quella giunta non ha un progetto, non ha un futuro”) c’è anche dell’altro. C’è un riferimento di natura “etica” all’utilizzo strumentale, da parte di Crocetta, del nome altrui durante i giochi del rimpasto. E c’è anche un passaggio sui temi della legalità e dell’antimafia che sembravano unire Fiumefreddo e Crocetta e sui quali oggi sembrano trovarsi distanti. Quantomeno nell’interpretazione di quei concetti.

Fiumefreddo come Lucia Borsellino, verrebbe quasi da dire. Se solo la figlia del magistrato ucciso dalla mafia non fosse proprio quella che, molto più di altri, si era opposta all’ingresso in giunta di Fiumefreddo. Ma anche Lucia faceva apparentemente parte di quel ristretto giro di fedelissimi e intoccabili. Anzi, in un certo senso, era Crocetta ad apparire un fedelissimo dell’assessore. Utile, col suo cognome, a dare la tanto sbandierata impronta antimafia al suo governo. E invece, anche Lucia Borsellino andrà via, per motivazioni “di ordine etico e morale”. No, anche in questo caso la politica non c’entra. “Le è stato mostrato un dossier fasullo”, l’interpretazione dei fatti da parte del governatore. Una spiegazione che, appare evidente a tutti stando non solo al contenuto della lettera di dimissioni ma anche alle tante interviste successive della Borsellino, non sta in piedi. Ma il gioco è chiaro: quanto più “pesante” è il nome che decide di prendere le distanze da Crocetta, tanto più banale è la scusa alla quale si fa risalire la rottura. Si pensi a Nicolò Marino, il cui “sì” all’ingresso in giunta venne atteso per giorni. Era il “magistrato antimafia” che ci voleva. Peccato che proprio sul tema dell’antimafia di Crocetta Marino caricò a testa bassa, in occasione di una intervista a Livesicilia. Alla fine Crocetta lo cacciò. Ufficialmente per divergenze sull’Eolico. Ufficiosamente per l’ostilità di Marino verso esponenti di Confindustria, difesi in quel caso da Crocetta.

Fiducia forse mal riposta. Visto che tra i fedelissimi del suo cerchio, punzonato col bollino degli industriali, era Alfonso Cicero. Per lui, Crocetta lanciò una fatwa persino contro i giornalisti. Pescando , come accade in ogni ragionamento integralista, nella logica manichea secondo cui “se si è con Cicero si è buono, se si critica Cicero si è cattivo. E magari un po’ mafioso”. Adesso verrebbe da chiedere a Crocetta come la mettiamo. Visto che è lo stesso governatore, oggi, contro Cicero. Persino a suon di carte bollate, dopo che l’ex presidente dell’Irsap lo ha accusato (in maniera inquietante e vaga allo stesso tempo) di aver avanzato richieste indicibili. Accuse lanciate col fianco coperto da Marco Venturi, un industriale, per intenderci, che ha consentito di dare il via alla rivoluzione di Crocetta, stando almeno all’autobiografia del governatore dal titolo: “E io non ci sto”.

Un titolo che potrebbe, adesso, tranquillamente essere condiviso con tanti suoi ex fedelissimi. Che con Crocetta hanno deciso di non stare più. A cominciare da chi, all’Ars, addirittura portava il nome del governatore nella denominazione del gruppo. Ma gli uomini del “Megafono-Lista Crocetta” hanno deciso intanto di imbarcare qualche new entry come l’ex Udc Marco Forzese e l’ex grillino Antonio Venturino, poi hanno sposato la causa del partito socialista, smorzando l’influenza del movimento governativo. E anzi in qualche caso prendendo polemicamente le distanze (salvo poi aggiustare il tiro, che non si sa mai) dal governatore che non a caso a Livesicilia dirà: “Faccio rinascere il Megafono. I deputati? Il movimento non è fatto da loro, ma dalla gente”. Il primo, però, a lasciare il cerchio del governatore a pensarci bene, fu Stefano Polizzotto. Che per un anno e mezzo fu gran cerimoniare di Palazzo. Dalle sue mani passavano tutte le carte del “cambiamento”. Ma quando mai. Alla fine tra quelle carte Polizzotto pescò il “due di picche” del governatore. Che prima lo declassò da capo della Segreteria tecnica a consulente personale. Quindi addio anche all’ultimo cordone. E l’avvocato di Castelbuono oggi non pare così scontento di aver salutato quella esperienza.

Mentre qualche guaio giudiziario contribuiva ad ammaccare quel cerchio che una volta accoglieva tanti. Come l’ex primario Matteo Tutino, medico personale del governatore con frequentazioni assidue a Palazzo d’Orleans, dove si muoveva, raccontano, manco fosse a casa sua. Una familiarità emersa nelle ore dell’arresto, con le forze dell’ordine pronte a eseguire, il medico decideva di fare una telefonata. Digitando il numero del presidente. Lo stesso presidente che ha sempre “coccolato” il graditissimo ex manager di Villa Sofia Giacomo Sampieri, anche lui finito nel registro degli indagati. E indagata è anche Anna Rosa Corsello. Di lei, dopo la fasulla cacciata post click-day e prevedibilissimo reintegro, Crocetta diceva: “Sono per il perdono, oggi andiamo d’amore e d’accordo”. Così d’accordo che, secondo gli inquirenti, la dirigente decideva di fare il nome del presidente per favorire l’assunzione al Formez di qualche dirigente regionale col contratto scaduto. Tutto da verificare, ovviamente. Ma intanto la burocrate, alla quale Crocetta aveva messo in mano due dipartimenti fondamentali come quello della Formazione e del Lavoro oltre alla liquidazione di società come Multiservizi e Biosphera, è stata sospesa praticamente dai magistrati per sei mesi.

Il cerchio è diventato, insomma, un cerchietto. Una compagnia striminzita, utile al massimo a dare vita a una briscola. Persino Beppe Lumia sembra defilarsi. Almeno quando arriva la luce. Perché nell’ombra delle trattative per i tanti governi, lui c’è sempre. Attivo, attivissimo. Per il resto, nulla. Nessuna dichiarazione a sostegno di Crocetta, nessuna presa di posizione ufficiale. Se non quella a cui l’hanno costretto gli eventi del Megafono: “I siciliani non sono stupidi. Hanno capito che qualcosa sta cambiando”, ha detto in quell’occasione. E aveva ragione. Nemmeno lui, probabilmente, ha l’entusiasmo dei primi giorni. Così a Crocetta è rimasto poco o nulla. Qualche esponente di sottogoverno come l’ex pm Antonio Ingroia, o qualche figura eterea e sbiadita, nell’ottica dei grandi giochi di potere, come quella di qualche fantomatico consulente al Patto dei sindaci o ai rapporti col Nordafrica, o il suo capo di gabinetto.

Se si esclude, ovviamente, il Segretario generale. A Crocetta, forse, è rimasta solo lei. E guai a toccarla. Su quel tema il presidente si accalora e si indigna. Nonostante una condanna milionaria della Corte dei conti per un danno all’Erario, il governatore che di fronte alla manciugghia tagliava carne e osso, sfiletta la sentenza dissertando di “dolo” e “colpa”. Di errore e intenzione. Manco fosse Dostoevsky.

Nel frattempo, il presidente ha messo dentro di tutto. O meglio, ha messo dentro tutti quelli che hanno deciso di entrare, pur non volendo Crocetta. Dal Pd di Cracolici e Crisafulli, a quell’Ncd che una volta era per il presidente il partito di Mafia Capitale, qualche assessore come Giovanni Pistorio addirittura proveniente dal governo Cuffaro, e diversi deputati che di quell’era e di quella successiva di Raffaele Lombardo furono protagonisti. Tutti soli, in realtà. E tutti uniti da due paure. Quella di tornare a casa, cioè allo status di semplice cittadino. E quella di passare alla storia come il governo e l’Assemblea che portarono la Sicilia al default. Così, a un Crocetta sempre più solo è stato imposto di recitare un ruolo che non è il suo. Come quegli attori a fine carriera, con un altisonante passato e un presente fatto da camei in filmetti dozzinali. Lui ha accettato la parte, purché il film si faccia. Non potendo contare più su fedelissimi, e quindi appoggiandosi alla paura delle elezioni e dei conti che rischiano di lasciare senza un lavoro migliaia di siciliani, pur di poter restare sullo schermo ancora un po’ a parlare di riforme da fare. Le stesse che in tre anni non ha saputo compiere. E fondando così, a pensarci bene, la speranza sulla disperazione.


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