Giuseppe Castiglia, la sua Catania e l'arte di saper far ridere

Giuseppe Castiglia, la sua Catania e l’arte di saper far ridere VIDEO

Un incontro che non ha deluso le aspettative. Quattro chiacchiere sulla città ai piedi del vulcano, tante battute e tantissimo talento.
LA DOMENICA DI LIVESICILIA
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6 min di lettura

CATANIA. Abbiamo incontrato Giuseppe Castiglia con tanta curiosità, per le domande che volevamo porre e per le risposte, mai banali, che abbiamo ottenuto. E’ stato un bell’incontro per una domenica da incorniciare.

Sei nato a Catania nel ’72, quali sono i tuoi primi ricordi della nostra città? Com’era Catania in quegli anni?

Io sono nato nel ‘72, quindi i ricordi migliori ce li ho certamente negli anni ‘80. Ho anche dei buoni ricordi della Catania degli anni ‘70 e l’ho vissuta ovviamente da bambino che dà la mano alla mamma, nel senso che ancora non uscivo da solo, per cui posso fare una distinzione. Agli anni ‘70 posso legare la fotografia in bianco e nero fatta alla villa quando ci trovavamo ancora i fotografi che ti davano il bigliettino da visita con l’indirizzo dove andare a ritirare poi la foto che ti avevano fatto, e non solo a Carnevale, ci trovavamo i fotografi sempre, praticamente perché si andava alla villa anche per tante altre motivazioni.

Poi gli anni 80 invece sono a colori, Catania è diversa, piena di colori, perché gli anni 80 sono l’era dei capelli cotonati, delle calze fluorescenti, delle spalline, sappiamo tutti com’era,e Catania devo dire che non si è fatta mancare nulla da un punto di vista musicale poi c’era tanto fermento, c’erano tanti gruppi che emergevano, tanti nomi, un bel movimento, era una città molto vivace, un po diversa da quella di oggi.

La leggenda vuol che hai imparato a leggere e scrivere a tre anni da solo. Com’era Giuseppe da bambino?

Ero un bambino molto curioso, la curiosità è sempre stata la molla, il motore, secondo me, il motore dell’umanità, nel senso che senza la curiosità l’uomo non avrebbe scoperto la ruota o il fuoco. E quindi la curiosità è qualcosa che fa muovere il mondo. Io da bambino ero particolarmente curioso ed ho avuto la fortuna di avere un papà che ha sempre risposto a tutte le mie domande, ero un bambino dei “perché”, chiedevo tante cose e mio padre era abbastanza informato, e quando non sapeva si informava, per poi soddisfare ovviamente la mia curiosità. 

Ero talmente tanto curioso che una volta proprio il mio papà mi comprò un abbecedario, di quelli da colorare, dove c’erano dei disegni e sotto i disegni c’era scritto ovviamente che cosa fosse quello che era rappresentato lì. Se c’era un’oliva, c’era scritto oliva, se c’era una casa c’era scritto casa, se c’era una giraffa, c’era scritto sicuramente giraffa.

Io ero curioso di imparare a leggere e quindi cominciai a fare dei calcoli mentali tramite i quali, disegnando praticamente delle lettere, capendo un pò dai suoni, se assomigliavano più o meno alle lettere che componevano il mio nome e cognome. Insomma le ho prese, le ho messe insieme e le ho disegnate, non le ho scritto in realtà, ed è venuto fuori “Giuseppe Castiglia”.

Ovviamente mia madre, vedendo questa particolare propensione e questa precocità, insomma così spiccata, si mise subito a lavoro. Mi insegnò le lettere dell’alfabeto, poi qualche sillaba e poi cominciai da lì in poi a scrivere. Diciamo che all’asilo ero un bambino tra i più piccoli, però ero l’unico che sapeva leggere a quell’epoca. 

-Con “La sai l’ultima “ su Canale 5 hai conosciuto la popolarità vera, quella nazionale, e con “Insieme” hai raggiunto anche gli italiani oltreoceano. Cos’è per te il successo e cos’ha rappresentato nella tua vita?

“La sai l’ultima” è stata una sorta di certificazione del fatto che io fossi bravo a raccontare le barzellette, che era una cosa che comunque si sapeva in famiglia, si sapeva tra gli amici, e forse anche un po più che tra gli amici, perché avevo già cominciato a fare un po di teatro all’oratorio e un po di teatro anche fuori dall’oratorio.

Quindi diciamo che questa cosa di salire sul palco in qualche modo ce l’avevo già. 
“La sai l’ultima” arriva per un provino fatto molti anni prima insieme a degli amici dell’oratorio. Avevamo un trio, si chiamava “Reazione a catena”, e facemmo un provino per un’altra cosa. Poi ovviamente eravamo talmente tanto giovani ed impreparati che non ci presero neppure in considerazione.
Solo che questi provini rimangono in qualche modo, restano degli archivi, ci sono dei database, per cui quando poi servono dei volti o comunque dei personaggi vengono tirati fuori.

Si preparava questa trasmissione che era un grande esperimento di Canale 5, secondo me anche un pò rischioso, perché si basava su delle barzellette in prima serata di sabato in diretta, barzellette raccontate nella maggior parte dei casi da attori amatoriali o comunque da gente che veniva già da scuole.

C’era anche qualche dilettante bravo, ma comunque era un rischio, perché raccontare le barzellette in diretta, con l’obbligo di farle durare 1 minuto, di fare la faccia simpatica, di parlare un italiano con l’inflessione dialettale, insomma, è un po artefatta la cosa, non è come raccontare una barzelletta a tavola, tra amici che magari hanno bevuto un bicchiere in più e la cosa agevola anche la risata.

Sei con delle telecamere, ci sono cinque, sei, dieci, forse dodici, milioni di persone che ti guardano il sabato sera, parliamo degli anni ‘90, tra l’altro si stava ancora a casa e si guardava volentieri la televisione, e quindi far parte di questa esperienza è stata una bella cosa che poi ha determina comunque il prosieguo di quello che è stato il mio lavoro, perché semplicemente era più remunerativo che fare il teatro, che invece era stato il mio amore primario.

Poi è arrivata la radio con “Allakatalla”, ma quella è un’altra storia…

Tu che sei diventato emblema della “catanesità” nel mondo, come la vedi oggi questa città? Di che salute gode secondo te?

Ovviamente io adoro la mia città, la amo, le ho dedicato tante cose, la cito continuamente nelle cose che faccio ed ovunque vado, per cui certamente mi sento un pò emblema, ma chiaro, con i dovuti accorgimenti e le dovute virgolette, ci mancherebbe altro. 
Mi fa piacere essere riconosciuto come “Il catanese”, non tanto “un catanese”, e questo mi fa piacere.
Quando vado in altre città mi dicono adesso c’è “Il catanese”, quindi questo mi fa molto piacere. 

Però la parte dolente è che questo amore per la città, che tutti dichiariamo spesso e volentieri, purtroppo poi non lo vediamo nei fatti perché la città non versa in buone condizioni, non gode affatto di buona salute, anzi ha parecchi problemi nella viabilità, probabilmente anche un po nelle ristrutturazioni di alcune cose che non sono o non sono state tenute bene.

Non c’è una villa Bellini che secondo me è frequentata dalla gente come potrebbe esserlo una città normale, c’è paura di stare in giro nel centro storico di sera tardi, la città non è, diciamo, nel suo momento migliore. Certo, i problemi sono tanti e probabilmente anche le responsabilità, io però non mi sento di addossarle a nessuno in particolare, non è il mio lavoro, non è il mio mestiere, e comunque non saprei esattamente individuare le responsabilità. 
Certo è che sono tanti gli anni in cui questa città ha visto trasformarsi in quella che purtroppo è oggi. 

Io credo che siamo in tempo per poter fare tutti qualcosa affinché la città torni a splendere come ha fatto negli anni passati, neanche troppi anni fa, e possa anche addirittura fare un salto di qualità, perché credo che sia il momento di farlo, siamo ormai nel terzo millennio da 23 anni, quindi credo che sia il momento che la città faccia il suo salto di qualità […] 


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