Il pentito e il pizzo a Brancaccio| "Lì soltanto gli sbirri non pagano" - Live Sicilia

Il pentito e il pizzo a Brancaccio| “Lì soltanto gli sbirri non pagano”

Giovanni Lucchese svela i retroscena del clan che bussava alla porta di tutti i commercianti.

PALERMO – A Brancaccio il pizzo veniva imposto a tappeto. I boss bussavano alla porta di tutti i negozianti, anche di coloro che dovevano ancora aprire i battenti. Stavano alla larga soltanto dai commercianti che consideravano “sbirri” e a spiegarlo e Giovanni Lucchese, detto “Jhonny”, che dopo un anno in carcere ha deciso di pentirsi.

Durante le sue prime dichiarazioni messe a verbale descrive un microcosmo nella morsa del racket in cui le dinamiche non sono mai cambiate, tranne nel caso in cui qualcuno “non è il figlio di, il nipote di, o ci sono situazioni dietro. O perché, magari è sbirro. Appena su sbirri un ci vannu cchiù, proprio si scantanu”. Insomma, nel quartiere periferico di Palermo pagherebbero tutti, è lo stesso Lucchese a precisare che: “La gente ha paura. Non è facile”.

E’ la conferma di un meccanismo fortemente radicato per contrastare il quale, il neo pentito, esprime anche una personalissima opinione sulle modalità d’intervento che lo Stato dovrebbe adottare: “Io me li chiamerei ad uno ad uno e gli direi: se tu non me lo dici, appena noi sapremo dalle indagini che tu paghi, ti ritiriamo la licenza e tu te ne puoi andare. Lo farei per sconfiggere questa realtà, perché loro hanno troppa paura, perché appena tu dici…minchia…ti tartassano, ti tartassano”.

Lucchese entra nel dettaglio delle dinamiche già venute fuori dalle intercettazioni che hanno portato, nel luglio del 2017, ai trentaquattro arresti che hanno smantellato il clan di Brancaccio. Estorsioni e danneggiamenti per ribadire la presenza degli esattori del pizzo sul territorio sarebbero stati all’ordine del giorno, e nel mirino finivano anche i venditori ambulanti.

“Magari quando fanno le feste – ha spiegato – tipo fanno le feste rionali che ci sono i cantanti e ci sono pure quelli che vendono le bibite, la birra e si mettono là…ognuno deve dare soldi, ognuno dà soldi. E c’è uno che mettono che raccoglie i soldi. E’ un pizzo – precisa Lucchese – si mette là e si fa dare trenta euro l’uno, li prende e li porta a chi li deve portare”.

A “disposizione delle estorsioni”, come lo stesso neo pentito ha precisato, ci sarebbero stati Giuseppe Caserta, Giuseppe Lo Porto e Salvatore Giordano. Quest’ultimo viene definito da Lucchese “un cane sciolto”: “Diciamo che si occupa anche di danneggiamenti e droga, però magari viene frenato, perché è un cavallo pazzo, è una persona strana. Lo vedevo a piazza Torrelunga, con altri personaggi parlare e buttavano voci”.

Poi ha aggiunto durante l’interrogatorio: “L’ho pure conosciuto di persona al Pagliarelli e mi ha detto che c’è stato un periodo in cui ha curato la latitanza di mio suocero, quando era latitante. Io gli ho detto: senti, ma a me che mi racconti questi discorsi? Poi mi ha raccontato: Graviano mi ha regalato una cucina, la cucina di casa che ancora ce l’ho conservata. Ci dissi: da trent’anni che sono arrestati e tu la cucina ancora non l’hai cambiata? Dice: è buono che me la tengo come ricordo…”


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