Mafia e affari: sequestrati la Gamac e 13 supermercati Conad e Todis

“Impero mafioso da 150 milioni”: sequestrati 13 market e imprese

La scalata di Lucchese "sotto la protezione dei boss". I pm: "Diede la disponibilità per ospitare Provenzano". Coinvolto un poliziotto: avrebbe passato informazioni VIDEO

PALERMO – “Un imprenditore sotto l’ala protettiva di Cosa Nostra”, così lo definiscono gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo. Una protezione che avrebbe consentito a Carmelo Lucchese, 54 anni, incensurato, di diventare leader nel settore della grande distribuzione.

Punti vendita Conad e Todis

La sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, gli sequestra un impero che vale 150 milioni di euro. Ne fanno parte la società Gamac Group srl, con sede legale a Milano, 13 supermercati con insegna Conad e Todis a Palermo Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese, immobili (tra cui alcune ville), terreni, fabbricati, conti correnti, polizze assicurative e autovetture (tra cui una Porsche Macan).

Carmelo Lucchese

I supermercati restano regolarmente aperti, ma la gestione passa a un amministratore giudiziario che avrà il compito di garantire la continuità aziendale e mantenere i livelli occupazionali per preservare i diritti dei lavoratori e dei fornitori.

Il Tribunale presieduto da Raffaele Malizia ha accolto la proposta di sequestro della Procura sulla base delle indagini del Gico, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto Giovanni Antoci. I finanzieri hanno analizzato e riscontrato
le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, e trovato una chiave unitaria alle tante risultanze investigative raccolte in diversi procedimenti penali.

“Rapporti strutturati con i boss”

Sono venuti fuori, secondo l’accusa, “strutturati contatti di Lucchese con la famiglia mafiosa di Bagheria e vantaggi imprenditoriali di cui ha potuto beneficiare nel tempo”. Da qui l’ipotesi che Lucchese sia socialmente pericoloso in quanto appartenente, anche se non partecipe, a Cosa Nostra.

Lucchese avrebbe avuto nei boss gli sponsor per la sua scalata al successo: avrebbe acquisito nuovi spazi di vendita grazie all’intervento di Cosa Nostra, pronta a scoraggiare la concorrenza anche attraverso dei danneggiamenti o per risolvere controversie sorte con alcuni soci. Lucchese avrebbe anche goduto dell’esenzione della tassa di Cosa Nostra, il pizzo, che tanto pesa sulle casse degli imprenditori. E quando c’era da pagare avrebbe ottenuto uno sconto.

Una case per Provenzano

In cambio Lucchese avrebbe dato ai boss ingenti somme di denaro e assunto i loro familiari nei propri punti vendita. I rapporti sarebbero divenuti talmente fiduciari che Lucchese mise a disposizione un appartamento per ospitare l’ultima parte della latitanza di Bernardo Provenzano, anche se alla fine, dice il pentito Sergio Flamia, si ripiegò per un’altra soluzione.

Parlano gli investigatori

Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della guardia di finanza di Palermo

“L’operazione odierna si inserisce nell’ambito di una precisa strategia investigativa sviluppata dalla guardia di finanza, d’intesa con la Procura della Repubblica di Palermo – spiega il comandante provinciale della finanza di Palermo, generale Antonio Quintavalle Cecere – diretta alla sistematica aggressione dei patrimoni illeciti al fine di disarticolare in maniera radicale i sodalizi delinquenziali e liberare l’economia legale dalle infiltrazioni criminali, a tutela degli imprenditori che, anche in questo difficile periodo, operano nel rispetto delle regole”.

Il colonnello Gianluca Angelini

“Una delle principali direttrici nell’azione di contrasto agli interessi economico-finanziari di Cosa Nostra consiste proprio – aggiunge il colonnello Gianluca Angelini, comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria – nel ricercare, individuare e sterilizzare l’operato degli imprenditori collusi con la mafia, cioè coloro che dal rapporto illecito di reciproco interesse con la criminalità organizzata ricavano la forza per affermarsi sul mercato, alterando le regole della sana e leale concorrenza.
Il messaggio deve essere chiaro: fare affari cercando o accettando l’appoggio della mafia è una scelta perdente oltre che illegale”.

Quando negò di pagare il pizzo

C’è un solo precedente giudiziario nella vita di Lucchese, e si era concluso con l’assoluzione. Nel 2014 era stato assolto dall’accusa di falsa testimonianza aggravato dall’avere agevolato Cosa Nostra. Era stato convocato in aula durante il processo nato dal blitz Perseo del 2008, che azzerò il tentato di rifondazione della mafia di Palermo e provincia, e negò di avere pagato il pizzo.

Il boss pentito Onofrio Prestigiacomo disse che Lucchese era stato costretto ad assumere parenti di Sergio Flamia, aveva pagato centinaia di migliaia di euro di pizzo al capomafia di Bagheria Pino Scaduto ed era stato costretto ad avvalersi delle imprese segnalate da Cosa Nostra per i lavori nei supermercati. Non furono trovati i riscontri necessari alle accuse del pentito, ma negli anni successivi il fascicolo a carico di Lucchese si è arricchito.

Gli ultimi pentiti

Da Sergio Flamia a Filippo Bisconti, tanti i pentiti che hanno parlato di Lucchese, raccontando anche episodi inquietanti. Ad esempio quello di un poliziotto che avrebbe fatto avere notizie riservate a Lucchese che poi le avrebbe passate ai boss di Bagheria.

I supermercati sequestrati

I punti vendita sequestrati, ma regolarmente aperti, sono i Conad di Corso Finocchiaro Aprile 112, Viale Michelangelo 2200, via Argento 32, via Sunseri 6, Carini strada statale 113, Bagheria via Passo del Corretto, Bolognetta strada statale 121, San Cipirello contrada Bassetto. Ed ancora i Todis di Bagheria via Papa Giovanni XXIII, mentre a Palermo in via Re Federico 20, Corso Finocchiaro Aprile 195 e via Capricorno 9, Termini Imerese contrada tonnarella presso il centro Himera.


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