Messina, lo scandalo Nemo Sud e il ruolo della Regione

Nemo Sud, nove anni di “distrazioni”: la Procura bacchetta anche i burocrati

Commissari e dirigenti regionali sentiti dai carabinieri

PALERMO – “Contraddittorie, in parte vaghe ed elusive, non hanno fornito risposte esaustive ed oggettive sulle tematiche esaminate (natura giuridica degli strumenti utilizzati, autorizzazione, accreditamento, esternalizzazione)”.

Con queste parole la Procura di Messina ha bollato le dichiarazioni dei commissari e dei dirigenti regionali sul centro clinico di riabilitazione neuro muscolare Nemo Sud travolto dall’ultimo scandalo giudiziario. Nessuno di loro è indagato.

Se il maxi peculato è stato commesso, se 11 milioni di euro di fondi pubblici sono stati assegnati senza alcun criterio ad un centro privato ospitato all’interno del Policlinico di Messina allora la burocrazia regionale ha mostrato quanto meno una debolezza di sistema.

Clinica privata in un ospedale pubblico

C’erano tutti i presupposti per scoprirlo in tempo. Ed invece, dal 2012 e sino al giugno 2021 (anno di chiusura di Nemo Sud), dicono gli investigatori, “attraverso la stipula di convenzioni, sempre più vantaggiose per la clinica, si è consentito ad una clinica privata di operare in un ospedale pubblico, con costi a carico dell’Erario, in assenza dell’autorizzazione e dell’accreditamento della Regione Siciliana”.

I campanelli di allarme

C’era stata un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle. Si accesero i riflettori e l’allora assessore regionale Ruggero Razza, nel 2019, chiese chiarimenti al direttore generale del Policlinico e attuale commissario dell’Asp di Catania Giuseppe Laganga, indagato per peculato.

Laganga disse che, a seguito del diniego alla esternalizzazione delle prestazioni, il Policlinico e la Fondazione Aurora (che poi avrebbe gestito il centro) stipularono la prima convenzione “integrando” il centro clinico nella unità di Neurologia dell’ospedale universitario.

Il no di Lucia Borsellino

A dire no all’autorizzazione e a non concederla era stata Lucia Borsellino nella doppia veste prima di dirigente generale dell’assessorato e poi di assessore.

Ricevuta la risposta da Laganga, Razza decise di nominare una commissione di verifica. Fu un lavoro cartolare, ma il campanello d’allarme avrebbe già dovuto suonare.

La commissione stilò una relazione, secondo i pm messinesi, “limitandosi a riportare l’excursus documentale che aveva caratterizzato il rapporto, senza, tuttavia, pronunciarsi sulla liceità delle convenzioni poste in essere e prendere posizione in ordine all’assenza di autorizzazione e di accreditamento del centro clinico”.

I commissari per la verifica

Gli investigatori hanno convocato i componenti della commissione: Giuseppe Sgroi (dal 2004 dirigente dell’Area affari giuridici del Dipartimento di pianificazione strategica dell’assessorato regionale), Lucia Li Sacchi (allora dirigente del servizio di programmazione ospedaliera), Francesco Nicosia (dirigente area “Ispezioni e Vigilanza”) e Maria Letizia Di Liberti.

Quest’ultima, annotano gli investigatori, “non ha saputo dare risposte certe sulla natura giuridica di Nemosud, sulla necessità o meno dell’accreditamento, sulla esistenza di una esternalizzazione delle prestazioni sanitarie dal Policlinico al centro clinico”. Le dichiarazioni dei commissari presenterebbero “diversi profili di contraddittorietà”.

Cosa dissero i dirigenti regionali

Stessa cosa per i dirigenti dell’assessorato, le cui ricostruzioni sarebbero “in contrasto con la normativa sanitaria, ciò probabilmente al fine di giustificare l’azione dell’assessorato, che ha consentito la nascita e la permanenza nel tempo di una operazione macroscopicamente illegittima“.

I carabinieri hanno sentito Gaetano Chiaro della Pianificazione strategica, secondo cui, Nemo Sud avrebbe avuto bisogno dell’accreditamento se avesse mantenuto rapporti diretti con la Regione, ma poiché ne aveva solo con il Policlinico di Messina, sarebbe toccato a quest’ultimo verificarne i requisiti.

Ignazio Tozzo (direttore del centro Dasoe e poi della pianificazione strategica), disse di non avere verificato se il centro clinico Nemo Sud fosse o meno accreditato, dando per scontato che lo fosse
perché la struttura era operativa da molti anni.

Ha aggiunto che “qualsiasi struttura sanitaria privata necessita di autorizzazione e di accreditamento, ma nel caso di specie tale ultimo provvedimento non era necessario perché Nemo Sud, operando nell’ambito di struttura pubblica, si avvaleva dei requisiti di questo”.

Antonio Tobia, dirigente dell’Organismo Tecnicamente Accreditante, spiegò che “Nemo Sud non è tra le strutture sanitarie private accreditate presso la Regione Sicilia, quindi è privo di formale accreditamento”.

Rilievi ignorati, poi arrivò il prof

Mille dubbi, altrettanti interrogativi e parecchia confusione. Eppure tutto è filato liscio fino al 2019 quando il docente del policlinico Roberto Dattola segnalò una serie di irregolarità nella gestione del centro clinico privato.

Lucia Borsellino bocciò la richiesta esternalizzare il servizio di assistenza. Ma il rilievo fu completamente ignorato. Nel frattempo si era attivata la magistratura.

Oggi la Procura ha messo sotto inchiesta nove persone (commissari e dirigenti regionali non sono indagati) e sequestrato 11 milioni di euro. Sarebbe emerso anche un giro di assunzioni e favori. L’uomo chiave è considerato il professore Giuseppe Vita, indagato per “corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio”.


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